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Altro che rilancio, il Piano Juncker è un flop

I miliardi disponibili sono solo 13. I progetti? Non partiranno prima del 2016

Altro che rilancio, il Piano Juncker è un flop

Roma - Nato male, il Piano Juncker rischia di finire peggio. Sulla carta dovrebbe garantire 315 miliardi di finanziamenti nelle aree trasporti, energia, ricerca e formazione.

In realtà, al momento sono disponibili 13 miliardi: cinque dalla Bei (Banca europea degli investimenti) e otto da risorse comunitarie, già stanziate per altri scopi. Più altri otto miliardi, che in realtà al momento non ci sono.

E la prospettiva di creare il Fondo da 315 miliardi si allontana ogni giorno che passa. Al momento, secondo stime che circolano nei corridoi di Bruxelles, i primi prestiti non saranno pronti prima della primavera 2016. Poi dovranno essere destinati a progetti. E, quindi, trasformarsi in cantieri veri e propri. Vale a dire, che questi potranno essere aperti - se non subentrano altri ostacoli - alla fine del prossimo anno, inizio 2017. E il Piano Juncker avrebbe dovuto rappresentare la «risposta rapida» per fronteggiare la crisi economica europea.

In questi giorni, la Cassa depositi e prestiti sta negoziando con l'omologa tedesca, Kreditanstalt für Wiederaufbau (Kfw), le soluzioni tecniche per alimentare il nuovo fondo per gli investimenti (Efsi): braccio operativo del Piano Juncker. E subito sono arrivate le brutte notizie. Innanzitutto, il governo tedesco alimenterà questo Fondo attraverso la Kfw; mentre il governo italiano pensava di fare la propria parte attraverso fondi diretti del Tesoro.

Visto l'atteggiamento tedesco è verosimile che anche Roma decida di intervenire attraverso la Cassa depositi e prestiti. In tal modo, la quota di partecipazione al Fondo non verrebbe conteggiata nei deficit degli Stati membri, in quanto le Cdp operano «fuori dal perimetro della pubblica amministrazione». Ma la brutta sorpresa è arrivata quando gli uomini della Kfw hanno spiegato agli omologhi italiani e francesi che la Germania potrebbe partecipare al famigerato Fondo anche con otto miliardi di euro.

Ma con la limitazione che questi fondi sono destinati a essere utilizzati esclusivamente sul territorio tedesco. Dopo questa prova di «trasparenza», i negoziati hanno subito un netto rallentamento.

E pensare che quando la Commissione Ue ha presentato il Piano Juncker ha insistito sulla «de-politicizzazione» della scelta dei progetti da finanziare. Nell'idea originale, insomma, non ci dovevano essere quote pre-assegnate a ciascun Paese, ma finanziati soltanto i progetti migliori.

In attesa che la Commissione metta in campo strumenti per frenare scelte autarchiche (o, quantomeno, ostacoli i tentativi tedeschi), la responsabilità torna nel campo della Bei. Sarebbe allo studio, infatti, una formula in grado di tamponare le lunghezze burocratiche europee.

Nella sostanza, la Bei dovrebbe anticipare le risorse necessarie agli investimenti (che avrebbe dovuto erogare il Fondo previsto dal Piano Juncker). E poi riaverli indietro, una volta messo a punto un meccanismo finanziario in grado di far lievitare da 13 a 315 i miliardi destinati alla crescita.

In pratica, quindi, questo Efsi non esiste. E i finanziamenti in infrastrutture e altro tornano a essere erogati dalla Banca europea degli investimenti. Come avviene tutt'oggi.

Il presidente della Commissione aveva annunciato al Parlamento europeo che il Fondo sarebbe entrato a regime per giugno prossimo.

Vista l'evoluzione dei negoziati in corso, è assai probabile - dicono a Bruxelles - che i primi progetti verranno finanziati a giugno. Ma del 2016.

Da notare che Matteo Renzi aveva inserito il Piano Juncker tra i successi del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea.

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