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Gli "amanti dell'acido" aiutati da un complice. L'ha filmato un video

Si cerca un ragazzo che avrebbe aiutato la bocconiana e il suo amante nei loro raid. Tre vittime avevano amicizie comuni

Gli "amanti dell'acido" aiutati da un complice. L'ha filmato un video

Milano - «Mentre scappavo urlavo a mio padre “scappa, scappa, è acido”... ho bloccato la sua mano armata, poi con l'altra mano l'ho avvolto e bloccato... ho effettuato una mossa di judo che si chiama ogoshi, grande anca...». È un lungo, dettagliato racconto dei momenti terribili dell'aggressione quello che Pietro Barbini, rampollo della Milano dorata inghiottito da un incubo all'acido muriatico, offre al procuratore aggiunto Alberto Nobili. Il verbale viene depositato ieri durante la nuova udienza del processo ai due ragazzi accusati di avere aggredito Pietro, senza altro movente che un gioco tortuoso e folle di sesso, ripicche, invidie. Questo verbale pesa oggi sulla sorte dei due imputati, Alexander Boettcher, sedicente broker, e la sua amante Martina Levato, ex studentessa del Parini e oggi bocconiana. Ma il verbale di Barbini è cruciale perché apre uno scenario ancora più aggiacciante, e dà corpo alla ipotesi cui all'inizio neanche gli inquirenti volevano credere. Alex e Martina non sono solo gli autori di una esecuzione sommaria. Sono dei criminali seriali, gli autori di almeno altre due aggressioni identiche avvenute in questi mesi a Milano. E di cui le vittime si ripetono in modo quasi identico: giovani, belli, ricchi. Come se fosse questa, in fondo, la colpa che devono espiare.

Due di queste vittime, oggi sono in ospedale insieme, stessa stanza nel reparto grandi ustionati di Niguarda: nel letto affianco a Barbini c'è, in condizioni quasi altrettanto pietose, Stefano Savi, che venne aggredito con l'acido muriatico in via Quinto Cagnino. «Non l'ho mai conosciuto prima - racconta Barbini ai pm - ma abbiamo alcuni amici in comune». E Giuliano Carparelli, che all'agguato riuscì a scampare? «Non lo conosco direttamente ma abbiamo amici in comune». Il circuito è lo stesso, un giro in fondo piccolo dei ragazzi di buona famiglia, delle buone scuole, dei buoni locali dove all'improvviso fa irruzione la follia di Alex e Martina.

Da ieri, i due imputati hanno la certezza che solo essere dichiarati matti almeno in parte li può separare da una condanna senza spazi alla clemenza. Così, dopo avere letto il verbale di Barbini, anche il difensore di Boettcher chiede per il suo assistito il rito abbreviato e la perizia psichiatrica. Il contesto di relazioni in cui questo uragano di violenza ha preso forma è ancora in parte da definire, e persino non è escluso che insieme a Martina e Alex abbia agito qualcun altro: la difesa di lui deposita un video in cui pare che si veda una terza figura in via Giulio Carcano, la sera in cui Barbini viene aggredito. È un dettaglio che potrà servire a ricostruire, a capire meglio. Ma che non toglie un'unghia delle colpe dei due ragazzi - lui bello, aitante, impermeabile alle emozioni; lei minuta, quasi insignificante - che ieri si scambiano sguardi da un lato all'altro della gabbia.

Che senso abbia tutto ciò, come ci si sia arrivati, neanche la vittima riesce a immaginarlo. Nel verbale ricorda gli anni della scuola, durante i quali «c'era stato un ottimo rapporto di amicizia». Il periodo successivo al liceo, «quando ci siamo sentiti tramite telefono e ci siamo mandati messaggi e anche fotografie a sfondo sessuale». Poi qualche incontro occasionale, l'ultima volta nel luglio di due anni fa. Quel giorno «Martina mi aveva parlato di un ragazzo con cui aveva stretto rapporti intimi, erano praticamente findanzati, e che lei chiamava “l'amministratore delegato”. Mi disse che non aveva problemi a tradirlo». È Alexander Boettcher. Tra i due scatta una folle scintilla. «Io ero in America, non so cosa sia accaduto. Penso a dinamiche tra lei e Alexander. Forse lei si sentiva in colpa per averlo tradito con me». Arriva il pomeriggio del 28 dicembre. Pietro torna a Milano.

Ad aspettarlo, la trappola che lo sfigura.

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