Cronache

"Anarchico, non pazzo" Ferì il re, solo ora la verità

Passannante accoltellò Umberto I nel 1878 e venne internato. Dopo 140 anni spunta la perizia segreta

"Anarchico, non pazzo" Ferì il re,  solo ora la verità

Un «cold case» che risale a 140 anni fa. Nessun dubbio sulla dinamica del fallito regicidio. Moltissimi dubbi, invece, circa lo status di «pazzo», attribuito storicamente all'autore di quel tentato omicidio: Giovanni Passannante, nato a Salvia di Lucania (Potenza) il 19 febbraio 1848 e morto a Montelupo Fiorentino (Firenze) il 14 febbraio 1910.

Il Giornale ha potuto infatti visionare l'originale della perizia psichiatrica attestante il «pieno stato di sanità mentale del Passannante». Un documento che quindi smentisce clamorosamente tutte le tesi lombrosiane sulla «predisposizione antropologica al crimine» elaborate in decenni di studio sul «cervello sotto formaldeide» di Passannante.

Avete letto bene: «cervello sotto formaldeide». Dopo la sua morte in manicomio, al povero Giovanni venne infatti tagliata la testa che fu messa in una teca trasparente per studiare le «origini del male». Ignorando però un «trascurabile» dettaglio: Passannante, mentalmente, stava benissimo; che - detto di un decapitato - ci rendiamo non sia il massimo, ma tant'è.

Per capirci qualcosa, bisogna però fare un po' d'ordine. Tutto comincia la mattina del 17 novembre a Napoli, dov'è in programma la visita ufficiale del re Umberto I di Savoia. Tra la folla che assiste al corte reale c'è anche lui: l'anarchico lucano, Giovanni Passannante. Mezzogiorno è trascorso da pochi minuti, la carrozza col sovrano fende le due ali di sudditi festanti. Tra loro c'è solo un contadino che ha la faccia truce. Il suo obiettivo è colpire non il re come uomo, ma il simbolo del «potere prevaricatore» che quell'uomo incarnava. Così Giovanni il «pazzo» cede a un ambulante la propria giacca sdrucita in cambio di un temperino arruggino; si fa sotto la carrozza imperiale e sferra un colpo al braccio di Umberto I. Poco più di un graffio. C'è perfino chi sostiene che, in realtà, il fendente non abbia scalfito la carne del sovrano ma «soltanto» quella di un notabile di Casa Savoia a fianco del sovrano. Ma tanto bastò per condannare a morte l'anarchico Passannante.

Uno stigma, questo dell'anarchia, che non trova d'accordo Angelomauro Calza, giornalista e scrittore che su Passannante ha scritto il libro «Io, uno come voi» e il soggetto del film «Viva Umberto abbasso il re»: «Giovanni si ispirava a princìpi e valori socialisti di moderna emancipazione sociale. Era sì un bracciante di umilissime origini, faceva il cuoco, ma nonostante ciò aveva imparato a leggere e scrivere. E questo dava fastidio al potere ufficiale, perché era la prova che anche il proletariato poteva uscire da un ruolo di mera schiavitù».

La violenza con cui Casa Savoia si accanì è sintomatica: la pena capitale fu commutata in carcere a vita, con condizioni di inaudita disumanità. Considerato da tutti un «matto pericoloso» Passannante morì nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino e alla sua morte arrivò l'oltraggio finale: la testa immersa in una teca di vetro, studiata per decenni nella Scuola di Polizia Criminale annessa al carcere di «Regina Coeli», e il resto del corpo gettato come un rifiuto. Solo di recente quel cervello umiliato è potuto tornare, in gran segreto, nel paese natale che, dopo il fallito attentato del 1878, fu costretto, in segno di espiazione, a cambiare il nome da Salvia di Lucania a Savoia di Lucania. Qui non esistono discendenti di Giovanni Passannante: ai tempi del tentato regicidio tutti i membri della famiglia furono fatti sparire misteriosamente.

La perizia medico legale firmata dai professori «Tommasi, Verga, Riffi, Buonomo, Tamburini (relatore Tamburini)» termina con queste parole: «Noi concludiamo quindi, unanimemente, secondo i dettami della scienza e della nostra coscienza, che il Passannante non è, né fu mai affetto né da allucinazioni, né da altra qualsiasi malattia mentale».

Il cranio «pazzo» di Passante è ora tumulato nel cimitero di Savoia di Lucania.

Di certo non riposa in pace.

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