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Anche Occhetto rivaluta il Cav: "Da lui capolavoro politico"

Amarcord dell'ex segretario del Pds che ora ammette l'abilità di Berlusconi alle elezioni politiche del '94

Anche Occhetto rivaluta il Cav: "Da lui capolavoro politico"

Benvenuto Occhetto. Dopo la Merkel, Scalfari, Emmott dell'Economist, Le Monde, tempio dei radical chic francesi, si allunga la lista dei ravveduti sulla via di Arcore. Quelli che il «caimano» in fondo poi non è così male. O almeno sempre meglio dei grillini. Nonostante gli anni di militanza barricadera e in alcuni casi prezzolata tra le fila dell'antiberlusconismo più truce.

E chi meglio di Achille Occhetto, a pensarci bene, poteva rivalutare e ammettere le capacità politiche di Silvio Berlusconi. Proprio lui che alle elezioni politiche del 1994 vide sfumare sul più bello il sogno degli ex comunisti al potere. Occhetto, l'ultimo segretario del Pci, traghettatore della «svolta della Bolognina», capo del Pds e infine leader sconfitto della «gioiosa macchina da guerra». L'ammenda del vecchio compagno è contenuta nel libro «Respubblica», uscito da poco in libreria per Castelvecchi, del giornalista e scrittore Giampiero Marrazzo. Un viaggio nella prima Repubblica attraverso interviste esclusive ad alcuni protagonisti di quella stagione. Da Ciriaco De Mita a Emanuele Macaluso, da Claudio Signorile a Paolo Cirino Pomicino, fino a Ugo Intini e, appunto, Achille Occhetto. Quest'ultimo dice, parlando del suo tonfo del '94: «L'elemento che ha determinato la nostra sconfitta fu la capacità di Berlusconi di mettere insieme il populismo montante, determinato dalla rabbia suscitata da Mani Pulite, incarnato poi da due suoi alleati, Msi e la Lega, con i maggiori responsabili della Prima Repubblica».

Insomma, l'abilità di coalition-maker riconosciuta al Cavaliere un po' da tutti anche in questa campagna elettorale. Ma, Occhetto, che nell'intervista per «Respubblica» prova ad autoschermarsi con le accuse di «populismo», va comunque oltre e definisce l'operazione berlusconiana del '94 come «un capolavoro politico». Un'impresa, quella del centrodestra di allora, che costò la carriera politica al segretario del Pds, talmente sicuro di vincere da non badare nemmeno all'abbigliamento durante il famoso primo «braccio di ferro» televisivo condotto da Enrico Mentana, rimasto nella storia per la brillantezza del Cavaliere e l'insignificante completo marrone indossato da Occhetto. Che poi divenne simbolo, lui e l'abito, di una sinistra traumatizzata dall'inaspettata e secca vittoria del Polo.

L'«assalto al Palazzo d'Inverno» dei post-comunisti era stato preparato da Mani Pulite e dal conseguente azzeramento per via giudiziaria dei partiti della Prima Repubblica, Pci escluso. L'ex segretario è revisionista anche su questo punto: «Poi, che la loro attività (del pool di Milano ndr), così ficcante e più forte di quanto la magistratura italiana sapesse fare, possa essere stata facilitata anche da interventi esterni che gli hanno messo sul piatto i dati, non è da escludere. In particolare da chi aveva intenzione a svolgere una qualche funzione destabilizzatrice».

Prosegue Occhetto, incalzato da Giampiero Marrazzo: «Mani Pulite ha comunque rappresentato una difficoltà per la svolta ragionata...». E un'altra ammissione sui finanziamenti erogati da Mosca al Pci: «Esistevano e sono stati chiaramente dichiarati». Il leader della fu «gioiosa macchina da guerra» ritratta ancora sulle elezioni del '94: «Non avremmo potuto vincere perciò non mi sono candidato a premier, se avessero retto i popolari avremmo portato Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi».

E invece ci andò Berlusconi, forte di quel «capolavoro politico» ammesso anche dall'ennesimo avversario.

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