Politica

Anche Standard & Poor's vede nero per l'Italia

L'agenzia lima le stime di crescita allo 0,7%. E i mercati brindano all'intesa con l'Europa

Anche Standard & Poor's vede nero per l'Italia

Dopo il Fondo monetario internazionale, l'Ocse e Bankitalia anche Standard&Poor's lima le stime di crescita dell'Italia. Si potrebbe dire quasi fuori tempo massimo, visto che perfino il governo ha alla fine rottamato l'irrealistica previsione di un Pil in espansione dell'1,5% nel 2019, ora corretta a un +0,9%. Percentuale, tuttavia, ancora superiore a quella dell'agenzia di rating Usa, che con l'ultima revisione colloca la crescita non oltre lo 0,7% l'anno prossimo, allo 0,9% per quello successivo e allo 0,8% nel 2020.

Insomma, siamo condannati allo zero virgola. Sempre che gli spifferi recessivi che arrivano da più parti non finiscano per rendere fra qualche mese tutti questi outlook delle cartoline natalizie ingiallite. Se la sofferta intesa fra Roma e Bruxelles è stata salutata ieri dai mercati con un sospiro di sollievo (+1,16% Piazza Affari; spread sceso di 17 punti, a quota 253, rispetto a martedì; euro balzato sopra gli 1,14 dollari), permangono tutte le criticità individuate da S&P, sia di natura interna che internazionale, e con le quali un Paese come l'Italia, che «non ha molto spazio di manovra» a causa dell'elevato debito pubblico, dovrà fare i conti. Le prime rimandano all'incertezza sulla politica fiscale, che «ha recentemente portato a un aumento dei differenziali di rendimento (tra Btp e Bund tedesco, ndr) e a condizioni finanziarie più stringenti». A causa dei contenuti ancora poco chiari della legge di bilancio e con sforamenti del livello di disavanzo concordato con la Commissione europea da non escludere nei prossimi mesi, queste incertezze non sembrano ancora essere state superate.

Nel lungo termine, la produttività «bassa» resta un freno alla crescita «dal momento che le riforme non sono sul tavolo negli anni a venire». S&P si aspetta inoltre una decelerazione degli investimenti aziendali in seguito a «un rapido deterioramento nelle condizioni di finanziamento» da parte delle banche. In parole povere, un più difficile - e costoso - accesso ai prestiti. Il motivo è legato alla stretta dipendenza del settore del credito dai titoli di Stato (372 miliardi il controvalore complessivo dei bond tricolori posseduti dal sistema), e quindi all'andamento dello spread. Non solo. Eventuali carenze patrimoniali provocate dalla perdita di valore dei Btp potrebbero riflettersi in un rallentamento del processo di riduzione del livello «alto» delle sofferenze (i crediti di difficile riscossione). Nel lungo termine, la produttività «bassa» resta un freno alla crescita «dal momento che le riforme non sono sul tavolo negli anni a venire».

Alle debolezze interne vanno poi sommate quelle importate da oltre confine.

S&P mette infatti in correlazione la debolezza prevista nel quarto trimestre del 2018, dopo la contrazione dello 0,1% nel terzo rispetto al secondo, con «un declino della domanda dall'estero» indotta dal rallentamento della crescita globale e dalle tensioni commerciali innescate da Usa e Cina.

Commenti