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Anche Visco bacchetta il governo

Bankitalia giustifica la sfiducia tedesca verso il nostro Paese: "Il punto è il debito"

Anche Visco bacchetta il governo

Roma - In Europa c'è un problema di fiducia. Lo aveva detto pochi giorni fa il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Ieri il governatore di Bankitalia ,Ignazio Visco, ha ribadito il concetto e ha dato nome e cognome agli sfiduciati. «Il punto fondamentale - ha spiegato intervenendo a un convegno dell'Ispi - è la mancanza di fiducia che c'è tra i principali Paesi e in particolare in questo momento la mancanza di fiducia che c'è tra noi e i tedeschi. C'è un convinto europeismo da entrambe le parti, ma il punto cruciale è che non ci si fida. E giustamente: la questione è il debito pubblico».

Quello del governatore non è stato solo un richiamo all'Europa. Le responsabilità della sfiducia sono tutte da ascrivere alle scelte dell'Italia che non ha rispettato gli impegni presi in occasione dell'ingresso nell'euro (in particolare un rapporto debito/Pil al 60% nel 2010). «Non è stato fatto non perché c'è stata una politica di bilancio folle, anche se non c'è stata una politica di bilancio particolarmente brillante soprattutto nei 10 anni che hanno preceduto la crisi, ma per l'incapacità di questo paese di fare i compiti per capire come crescere di più e meglio».

Pollice verso anche sulle riforme strutturali. «Nessun governo è riuscito ad avere una politica che tenesse in piedi tante cose, scuola, lavoro, tecnologia - ha aggiunto - dicendo ai cittadini che non è facile e senza fare promesse che non sono mantenibili», come ad esempio, quella di «abbassare le tasse a tutti».

Un appello al rigore se non il sostegno alla sfiducia tedesca verso l'Italia: «Il nostro debito è il 130% del Pil, quello tedesco è al 70%: i tedeschi non vogliono mettere insieme questi debiti, ma un'Unione ha bisogno di un debito comune». Unico modo per realizzare questa condizione, «un piccolo passo a livello nazionale per dare fiducia e arrivare a una trattativa su questo tema. Si deve passare da un bilancio unico e per farlo noi dobbiamo essere in grado di dimostrare che vogliamo andare in questa direzione».

Parole che cadono in piena trattativa tra Roma e Bruxelles sulla manovra da 3,4 miliardi di euro per correggere il deficit del 2017. Ma anche sulla legge di bilancio del 2018. I segnali che arrivano dal governo non sembrano andare nella direzione indicata dal governatore.

Nei programmi della prossima campagna congressuale e delle primarie Pd ci sarà ad esempio la proposta del ministro della giustizia Andrea Orlando che vorrebbe un assegno di ottocento euro, «come integrazione al reddito o come assegno se non si hanno altre entrate» per uscire dalla condizione di povertà.

Sul fronte della spending review spicca l'accordo raggiunto ieri dalla Conferenza unificata a proposito dei tagli alle società partecipate e in particolare l'obbligo a chiudere quelle con un fatturato medio triennale inferiore a un milione di euro. Le autonomie locali avranno tre mesi di tempo in più per presentare i piani. Un rinvio, insomma. Partita ancora più difficile, quella dei tagli per trovare le coperture per la manovra di maggio (3,4 miliardi) e per coprire il bilancio del 2018 (circa 24 miliardi). Tra le ipotesi degli ultimi giorni, il solito riordino delle spese fiscali, con la rottura del tabù che fino ad oggi escludeva le deduzioni delle spese sanitarie.

Il governo sta studiando un meccanismo che aumenta il vantaggio per i redditi bassi, ma taglia in modo consistente il beneficio per quelli alti.

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