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Ancora l'Egitto: è strage in moschea

Nel Sinai bombe e sparatorie all'uscita dei fedeli dalla preghiera: almeno 235 morti

Ancora l'Egitto: è strage in moschea

Una strage, la peggiore nella storia dell'Egitto, con annesso avvertimento. É quanto accaduto ieri mattina a Bir al Abed (a 40 km da El Arish), nella regione del Nord del Sinai, dove un commando di una quindicina di miliziani su due auto ha provocato la morte di almeno 235 persone e il ferimento di altre 109. Alcune violente esplosioni hanno investito i fedeli all'uscita dalla moschea «Al-Raoudah», dove da poco si era celebrata la tradizionale preghiera del venerdì. Gli attentatori avevano precedentemente collocato ordigni artigianali lungo il perimetro del luogo di culto, per poi sparare sulle persone in fuga e sulle ambulanze giunte sul posto per soccorrere le vittime. Le immagini diffuse dalla tv di stato egiziana sono terrificanti: il sangue è ovunque, i corpi mutilati sono stati ricomposti in maniera approssimativa all'interno dell'edificio e avvolti dai tappeti utilizzati durante la preghiera. «Purtroppo la zona è distante da ospedali ricettivi come quello di Ismailia - ha raccontato Ossama Ibrahim un abitante che con la sua auto si è offerto di trasportare i feriti - in parecchi hanno perso la vita durante il viaggio».

La moschea è per lo più frequentata da fedeli che praticano il sufismo, la corrente mistica dell'islam, ma soprattutto è il luogo deputato alla preghiera dalla tribù Sawarka, la maggiore del nord del Sinai, conosciuta per la sua collaborazione con l'esercito e le forze dell'ordine nella lotta all'Isis. Un obiettivo tutt'altro che casuale in un'area che sta diventando una sorta di nuovo Afghanistan per l'Egitto. Le tribù Sawarka e Tarabin, che controllano il Nord della Penisola, hanno assunto un atteggiamento diametralmente opposto con il governo del Cairo. Mentre i Tarabin, che controllano le montagne verso la frontiera con Israele, hanno manifestato una certa debolezza verso l'Isis, i Sawarka hanno denunciato a più riprese le operazioni perpetrate dall'organizzazione Ansar Beit al-Maqdis (probabili autori della strage di ieri) nell'area, pagando a caro prezzo la collaborazione con il governo di Al Sisi. Da parte sua il presidente egiziano ha convocato una riunione d'emergenza con i responsabili della sicurezza e in tutto il Paese sono stati dichiarati tre giorni di lutto. «Le forze armate risponderanno con forza brutale», ha affermato in un messaggio tv alla nazione. Gli al-Maqdis stanno da tempo tenendo in scacco le forze regolari egiziane, e il loro obiettivo, neppure troppo segreto, è quello di scendere dal nord del Sinai per colpire nelle zone del mar Rosso e mettere in ginocchio il turismo, punto di forza dell'economia. La prima condanna dell'attacco è arrivata da Al-Azhar, l'influente centro teologico e universitario dell'islam sunnita del Cairo, tramite le parole del Grande Imam Ahmed al-Tayeb, che lo scorso aprile aveva incontrato papa Francesco. Messaggi di cordoglio sono arrivati al Cairo da tutto il mondo, partendo da Mattarella, che ha ricordato come «l'Egitto potrà contare sempre sul determinato sostegno dell'Italia nella lotta agli estremismi».

Trump in un tweet ha definito l'attentato «un attacco orribile e vile» e Theresa May ha bollato i terroristi come «una banda di codardi».

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