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Aria di governo Di Maio-Salvini Forza Italia adesso è a un bivio

Il leghista chiama il grillino: «Facciamo un passo indietro» Renzi: «Gli azzurri decidano se stare all'opposizione»

Aria di governo Di Maio-Salvini Forza Italia adesso è a un bivio

«Ormai il pallino ce l'hanno in mano Di Maio e Salvini. L'unica vera variabile è se all'opposizione del prossimo governo ci sarà solo il Pd o anche un pezzo di Forza Italia». Davanti alla porta dell'ascensore del primo piano di Palazzo Madama, Matteo Renzi - in compagnia dell'amico e tesoriere dem Francesco Bonifazi e del neosenatore Tommaso Cerno - sembra avere pochi dubbi su quale sia lo scenario che si andrà aprendo nei prossimi giorni. D'altra parte, l'elezione dei presidenti di Camera e Senato non ha solo sancito una drammatica resa dei conti all'interno del centrodestra, ma ha anche confermato quanto sia solido l'asse tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. L'intesa, infatti, ha retto alla lunga notte di fibrillazioni di Palazzo Grazioli, con il segretario della Lega che ha tenuto costantemente aggiornato Di Maio di quanto accadeva, riuscendo ad ottenere il rapido cambio in corsa del candidato grillino a Montecitorio: fuori Riccardo Fraccaro e dentro Roberto Fico, a suggellare un accordo che guarda avanti.

Che Di Maio e Salvini stiano anche ragionando sul prossimo governo, infatti, non è un mistero. Chiusa la partita delle presidenze, però, restano da superare due criticità. La prima è quella che riguarda la premiership. Se Salvini si porta dietro tutto o quasi tutto il centrodestra, infatti, è evidente che a Palazzo Chigi non potrà sedere Di Maio. Ma anche il segretario della Lega, per ragioni di evidente opportunità, sarà costretto ad un passo indietro. Della questione Salvini e Di Maio ne hanno già parlato. «Io sono pronto a farmi da parte, fallo anche tu e convergiamo su un nome che vada bene ad entrambe», ha detto il leader del Carroccio al numero uno grillino. Di Maio, però, non sarebbe convinto. Per niente, tanto che Giancarlo Giorgetti ieri in privato non nascondeva il timore che proprio su questo punto ci si possa alla fine arenare.

L'altra criticità è il ruolo che avrà Forza Italia. Visto come si è concluso il braccio di ferro sulle presidenze, però, la sensazione è che alla fine gli azzurri potrebbero non essere apertamente ostili al percorso immaginato da Salvini. D'altra parte, i numeri dicono che M5s e Lega possono dare il via ad una maggioranza solida anche da soli. Il punto è capire se Di Maio è disposto ad allargarla e con quale formula, visto che ancora ieri continuava ad avere toni piuttosto tranchant su Berlusconi. «Per me farebbe meglio a ritirarsi dalla vita politica», ha ripetuto a diversi suoi interlocutori. Mentre pare che Salvini abbia mandato segnali al Cavaliere invitando a «indicare» una sorta di suo reggente che prenda le redini di Forza Italia.

Su questo fronte, insomma, il quadro è ancora fumoso, anche se molti leghisti sono convinti che all'interno dei gruppi parlamentari di Forza Italia possa esserci uno smottamento che faciliti il lavoro di Salvini. In effetti la tensione è alta al punto che sarebbero state avviate le raccolte di firme per mettere all'ordine del giorno il cambio dei capigruppo (in pole position ci sono Maria Stella Gelmini alla Camera e Anna Maria Bernini al Senato). In un quadro così complicato diventa decisiva anche la collocazione di Fratelli d'Italia. Che nonostante condivida poco o niente con il M5s potrebbe non tirarsi indietro. Restare all'opposizione con il solo Pd e, magari, con un pezzo di Forza Italia rischia infatti di essere una scelta isolazionista. Meglio a quel punto entrare in partita e, ragiona Fabio Rampelli, «provare ad essere il grillo parlante della maggioranza, un po' come faceva la Lega di Bossi quando a Palazzo Chigi c'era Berlusconi». Insomma, di lotta e di governo.

Questo, al netto dei nodi da sciogliere, sembra il quadro che si va delineando in queste ore. Un esecutivo che nella testa dei due protagonisti della partita - Di Maio e Salvini - dovrebbe arrivare fino alle Europee del 2018, concentrandosi su pochi punti fondanti e una nuova legge elettorale.

Anche se l'istinto di autoconservazione del Parlamento è spesso più forte della volontà dei leader.

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