Cronache

Le mie liti con la ladra (a 4 zampe) di visciole

Arriva di notte, ruba la frutta dagli alberi. In val Comino gli orsi sono di casa

È una questione di visciole. Questa estate ho avuto un litigio d'amore con un'orsa marsicana. È notte e sto quasi dormendo. Fuori dal casolare c'è solo la luce delle stelle. Le auto passano ogni ora o giù di lì. Non c'è silenzio, perché qui si ascoltano tutti i suoni che di solito non si sentono. Perfino la fatica del ragno che tesse la tela. Questo fino a quando non arriva qualcuno che si muove con la delicatezza di un plantigrado e se ne infischia della proprietà privata. È lei. Non è affamata. È golosa. Sta cercando di non fare troppo casino, ma non ci riesce. Non fa per lei. Rami che si spezzano, piante scosse come se fossero un ombrello che non riesci ad aprire, e in più la senti rugliare, bruire, bramire (neppure fosse un cervo), brusire, tutta la lista di versi che le attribuiscono. Insomma, fa grrooowwwrr. La speranza è che sia ghiotta di fichi. Invece no. Al mattino non c'è più. E non ci sono neppure più le visciole. Non sarebbe un gran problema se le visciole non fossero in assoluto il mio frutto preferito. È vero avrei dovuto raccoglierle prima, ma un po' mi sta sulle scatole che lei, l'orsa, sia stata così ingorda e egoista. Lo sa che per me le visciole significano, in ordine sparso, gelato, marmellata, sciroppo, ratafia. La ratafia è il liquore dolce di queste parti. Tutti hanno una ricetta segreta e la migliore è quella di un mio amico. Ratafia sembra che venga da rato fiat, contratto fatto. Era il brindisi per suggellare un accordo. La ratafia è fiducia, rispetto della parola data, è patto. E si fa con le visciole. Ecco, l'orsa non è stata ai patti. Le visciole no, non tutte almeno.

Sono un po' di anni che gli orsi in valle di Comino si sentono di casa. La valle è il versante laziale del parco nazionale d'Abruzzo, qui verso Roma a 12 chilometri c'è il Liri, Sora, lì verso Napoli c'è Montecassino, sopra, al di là del confine regionale c'è Pescasseroli. In mezzo c'è la valle dell'antica Cominium, ultima roccaforte, la Fort Alamo dei Sanniti, sconfitta e distrutta da Roma. Non so perché gli orsi sono scesi in valle. Mi dicono che hanno «preso confidenza», forse hanno meno paura dell'uomo e in questo si sbagliano, fatto sta che la vicinanza è rischiosa. Li ammazzano. Li avvelenano. E sono pochi, ogni volta che ne muore uno la linea che porta all'estinzione del bruno marsicano si accorcia, si fa più esile. L'ultimo è morto il 13 settembre. Un cucciolo qualche mese fa. Tutti e due avvelenati.

Ora non è che se venite in valle di Comino l'orso lo incontrate face to face . Non sta al bar. Se siete fortunati lo beccate all'alba al Passo dell'orso mentre si abbevera. Oppure a Campoli Appennino, terra di orsi e di tartufi. L'orso si racconta. Si sente. Se ne parla. E qualche volta s'incontra. qualche volta al buio si è messo a correre per la strada principale di San Donato, alcuni ragazzi lo hanno ripreso con una telecamera, mentre lo inseguivano con una Fiat bianca. È vero, una ragazza quest'estate lo ha visto spuntare dietro la torre medievale e ha avuto il coraggio di fotografarlo. Non un primo piano, ma abbastanza da testimoniare che quella sera Donato, così si chiama l'orso che bazzica San Donato, è passato a visitare la parte vecchia del paese, i vicoli. Il guaio è quando decidono, non Donato, ma altri orsi, di razziare le case di Val di Rio, frazione di Alvito, il mio paese. Questo accade quando gli orsi hanno fame sul serio e allora non guardano in faccia a nessuno e si buttano su pecore e agnelli, senza pietà. Capita. Capita sul serio e magari sì, c'è anche chi ci marcia, per farsi risarcire dal parco, ma sono pochi i furbi, gli altri contano le vittime e qualcuno sfida l'orso, mica per ammazzarlo, per farlo scappare. È successo a Ferragosto a una vedova. I giornali locali la raccontano così. L'orso entra nell'ovile e si mangia due pecore. La signora sente un trambusto tremendo e i belati di terrore. Poi legno che si spezza. La recinzione sta andando a pezzi. A quel punto la signora, 65 anni, esce urlando con un bastone. Trova l'orso nell'orto che si sta rubando l'insalata. È troppo. Lo ha preso a bastonate. E l'orso è fuggito. Non ci credete? È che non conoscete le donne di queste terre.

Qui l'orso è di casa. Da sempre. Ogni paese ha una storia antica di combattimenti con gli orsi. In piazza. A San Biagio Saracinisco e a Vallerotonda c'è ancora la tradizione del «ballo con l'orso». Poi capita che sia lui, l'orso, a dare spettacolo. L'altra estate, quella del 2013, a Picinisco, perla della valle di Comino, con tanto di albergo diffuso a cinque stelle aperto da un ricco signore scozzese, un orsacchiotto di nome Lorenzo è in cerca di mele. Solo che l'orto è scosceso. Scivola e finisce sul balcone di una casa dove sta passando le vacanze una coppia di inglesi. Grida, si sente un «Oh my god» e imprecazioni in piciniscano puro, lì sotto ci sono tre donne che stanno osservando la scena. Solo che Lorenzo mica se ne va, si ferma a guardare dal balcone l'orizzonte. Solo quando il clamore diventa fastidio e stanno per arrivare i carabinieri, l'orso usa la ringhiera come Yuri Chechi, si aggrappa, si distende e con un balzo di tre metri scappa via.

Questa è la storia che amo di più. Si chiamava Bernardo. Quasi tutti i giorni arrivava al confine di San Donato Valcomino, lì dove comincia la strada che porta a Forca d'Acero. Non cercava visciole e neppure mele. Si sedeva, su un muretto e stava lì a riflettere o a riposarsi per un po' di tempo. Strana storia, vero. Una cosa da realismo magico. Così chiesi a un guardiaparco perché a quell'ora e cosa cavolo facesse Bernardo lì. Il guardiaparco sorrise. «Nessuno è andato mai a chiederglielo. Ma li, sotto quel muretto, è morta la sua compagna».

Forse a las cinco de la tarde Bernardo piangeva per amore.

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