Cronache

Arriva la nuova lana. Senza le pecore

La creativa Stella McCartney rinuncia alla materia prima della Patagonia: "Basta maltrattare gli animali"

Arriva la nuova lana. Senza le pecore

Una rivoluzione. Questione di etica, di cuore, di rispetto. È la svolta bio animalista che sta inondando le case di moda. Sono gli stilisti con il coraggio di dire no ai maltrattamenti sugli animali per fare vestiti. E così, dopo pelle, pellicce e seta è il turno della lana vegana, vero sogno dell'eco fashion.

Le pecore. Sono loro l'ultima grande preoccupazione degli stilisti animalisti. L'annuncio di Stella McCartney, la celebre disegnatrice figlia di Paul è destinato ad aprire la strada alla nuova rotta: «Basta pecore maltrattate. Rinuncio alle pecore della Patagonia». Dopo aver già eliminato dalle sue collezioni pelle, pellicce e seta, Stella McCartney si appresta a fare il grande salto e dire addio anche alla lana. O meglio: alla lana di alcuni allevamenti della Patagonia. Ma non solo. «Stiamo cercando di produrre lana vegana», ha aggiunto. Nuovo faro per tutti: il «modo vegano», produrre eliminando tutti i derivati animali. Progetto ambizioso, ma non impossibile.

Certo è che per adesso la figlia dell'ex «Beatles» Paul e, come il padre, vegetariana e attivista per i diritti animali ha annunciato di aver interrotto i rapporto con uno dei suoi fornitori di lana argentina. La decisione è maturata - dopo la scoperta dei maltrattamenti subiti dalle pecore «da lana» in alcuni allevamenti della Patagonia scelti dalla stilista come fornitori di «lana sostenibile». Maltrattamenti mostrati in una video-denuncia diffuso dalla britannica Peta: agnelli scuoiati vivi, pecore sgozzate e poi code tagliate e pratica del «mulesing», cioè l'asportazione della pelle della zona attorno all'ano senza anestesia. «Non possiamo tollerare una cosa simile, la nostra iniziativa era nata per aiutare e proteggere un milione di acri di pascoli in via di estinzione in Patagonia, curando il benessere degli animali. Purtroppo – continua McCartney – dopo aver condotto la nostra ricerca in Argentina, a seguito della visione di alcuni filmati terrificanti dalla Peta, abbiamo scoperto che in uno dei 26 allevamenti le pecore venivano maltrattate. Un caso di troppo».

Ma Stella non è sola e l'eco-fashion è sempre più di moda. Sono tanti gli stilisti che hanno capito infatti che il mercato di lusso può essere più sostenibile. Il brand Hugo Boss ha siglato un'intesa con la «Fur Free Alliance», un'associazione internazionale che raccoglie oltre 40 équipe animaliste di 28 diversi Paesi. Le collezioni, a partire dall'Autunno/Inverno 2016 saranno fur-free. Il direttore creativo della maison, Bernd Keller, ha spiegato che la produzione eliminerà entrambe le pellicce utilizzate dal marchio, quella di cane-procione e quella di coniglio, sostituendole con capi in eco-pelle e in eco-pelliccia. È ancora fresca nella memoria la rivolta a luglio della modella davanti alle vetrine di Hermès a Los Angeles: nuda, con la pelle di coccodrillo dipinta, si è lasciata immortalare su un piedistallo insanguinato. Campagne choc, video terribili, associazioni come Peta o Lav che sensibilizzano i consumatori. Oggi chi compra è più attento di una volta. Sono addirittura 298 le case di moda che sostengono di «non vendere pellicce animali, o che hanno già avviato le procedure per diventare fur-free». Calvin Klein, Converse, Abercrombie & Fitch, H&M, Benetton, Killer Loop, Levis, Lacoste, Timberland, Palais Royal, Zara. E forse anche per questo si deve il successo alla linea di piumini «Save the duck» che spiega a caratteri cubitale che «rispettiamo le oche». Un'ovatta termica al posto delle piume vere. Dall' haute couture al low cost , sono sempre più marchi che muovono verso un mercato più bio, dalla scelta delle materie prime ai processi di produzione alla rinuncia di pelli di animali. Una lista in cui compare anche Giorgio Armani, il re della moda internazionale, che propone capi realizzati in canapa, cotone ecologico e poliestere riciclato.

Anche così si aiuta l'ambiente.

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