Politica

Arriva Obama e la Cina «scorda» il tappeto rosso

Protocollo non rispettato per il presidente Usa accusato di immischiarsi nella «crisi delle isole»

Roberto Fabbri

Arriva all'aeroporto il presidente Obama e... sorpresa: non c'è la scaletta riservata per la discesa dell'illustre ospite e tantomeno il protocollare tappeto rosso. I responsabili cinesi del cerimoniale non sembrano essersi preoccupati di questo rilevante dettaglio, sicché è toccato allo staff americano a terra preoccuparsi di intervenire per consentire al loro presidente di scendere dall'Air Force One. La scena verificatasi all'aeroporto di Hangzhou, sede del vertice G20, sarebbe stata già abbastanza incredibile così, ma ci si è aggiunto dell'altro: i funzionari cinesi e americani hanno preso a litigare non solo sullo sgarbo (che certamente non è stato casuale: un errore di questo genere in Cina viene pagato a carissimo prezzo) ma anche sulla presenza ai piedi dell'aereo di fotografi e cineoperatori americani, inurbanamente invitati a togliersi di mezzo.

Non si può dire che l'accoglienza riservata ad Obama a quello che dovrebbe essere l'ultimo grande summit internazionale della sua carriera presidenziale sia stata all'insegna dell'amicizia. Il Washington Post interpreta l'accaduto come una dimostrazione plastica del calo di influenza degli Stati Uniti nel mondo che gli otto anni di debole leadership obamiana hanno prodotto. Certamente l'indiretto messaggio così inviato dall'ambizioso leader cinese Xi Jinping al collega americano ha a che fare col ruolo degli Usa nella cruciale contesa territoriale nel Mar Cinese Meridionale, dove la Casa Bianca ha preso attivamente le parti dei Paesi rivieraschi bullizzati da Pechino, che pretende di trasformare con la forza quel mare in un suo lago interno.

Come che sia, davanti alle telecamere Xi ha accolto con un abbraccio Obama, probabilmente in cuor suo rallegrandosi di non doverlo più incontrare. D'altra parte, il presidente cinese certamente si augura di non avere in futuro a che fare con Donald Trump, le cui posizioni ostili verso la Cina sono notorie. Meglio tutto sommato la pragmatica Hillary Clinton, anche se pure lei ha sposato una linea piuttosto dura verso Pechino, responsabile di spionaggio economico senza scrupoli in America e di una politica economica basata sul dumping a tutto danno dell'industria manifatturiera a stelle e strisce.

Logico prevedere che, abbracci di prammatica a parte, il futuro delle relazioni sino-americane sarà irto di scogli, simili a quelli del mare conteso trasformati in basi aeronavali da Xi Jinping. E che di conseguenza continuerà a fiorire l'intesa russo-cinese in funzione di contenimento antiamericana. Oggi, intanto, un Obama ormai ai passi finali incontrerà Vladimir Putin: sul tavolo i temi delicati abbondano. Si va dall'Ucraina alla Turchia, dal Medio Oriente alla guerra fredda delle spie, la cui figura simbolo è il «patriota americano» Ed Snowden rifugiatosi da tempo a Mosca dopo aver trafugato carte segrete del suo Paese.

A Washington lo rivorrebbero al più presto indietro per un processo che farebbe epoca e che ovviamente non ci sarà.

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