Cronache

Ascoltata come teste poi la donna si suicida: "Trattata da criminale"

Il Csm esclude legami tra morte e interrogatorio. E il magistrato se la cava solo con una censura

Ascoltata come teste poi la donna si suicida: "Trattata da criminale"

Una storia cupa. Una successione agghiacciante di avvenimenti. Un retropensiero che è un lampo maligno: ci può essere un nesso fra l'interrogatorio drammatico di un teste e il suo suicidio? Una tesi scivolosissima ma contenuta in qualche modo nel biglietto lasciato agli inquirenti da Vera Guidetti: prima di uccidersi la farmacista aveva puntato il dito contro il procuratore aggiunto di Bologna Valter Giovannini: «Mi ha trattata come una criminale».

Ora la sezione disciplinare fa chiarezza in questa vicenda a più strati: non c'è nessun collegamento fra il comportamento del magistrato e la decisione della signora di farla finita. C'è stato invece un abuso, perché la Guidetti, coinvolta nell'indagine su un furto di gioielli, era stata ascoltata come teste e non come indagata. Per questo il tribunale delle toghe ha inflitto a Giovannini la sanzione della censura.

«In generale - spiega al Giornale Nicola Madia, penalista e assegnista di ricerca all'università di Tor Vergata - l'avvocato attento cerca di disinnescare sul nascere queste situazioni particolarmente antipatiche. All'inizio dell'interrogatorio mette le mani avanti col magistrato: Il mio cliente dev'essere sentito come indagato e non come teste. Poi faccia lei». Una sorta di avvertimento per evitare che l'accusa comprima i diritti della difesa.

Vera Guidetti viene sentita come teste anche se gli investigatori nelle stesse ore bussano alla sua abitazione e sequestrano materiale. Poi la situazione precipita: nei giorni successivi la donna somministra insulina alla madre ultranovantenne che muore di lì a poco in ospedale. Infine con le stesse modalità si ammazza. Ma prima scrive un biglietto pesantissimo: «Il pm mi ha trattata come una criminale».

Ci può essere una qualche relazione fra fatti accaduti? No, la procura generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare, la esclude nel modo più categorico. Nessuna connessione. Neppure come ipotesi: non è stato formulato nessun capo d'incolpazione, come si dice al Csm con linguaggio paludato, sul punto. La Disciplinare contesta invece l'abuso: quella convocazione come teste quando sarebbe stato più corretto chiamare un penalista e dare alla farmacista tutte le garanzie del caso. Compresa la possibilità di fare scena muta e di non rispondere alle domande del pm. Certo, è facile pensare che la storia abbia avuto tanta attenzione per il suo finale tragico, ma è bene separare i piani. E tenere lontani suggestioni e retropensieri avvelenati. Per la procura generale, si tratta di «un'inescusabile trascuratezza delle garanzie difensive».

in conclusione, Giovannini viene condannato; cade invece un altro capo d'accusa: quello di essersi intromesso nell'indagine condotta da un altro collega. Il pm di turno l'11 marzo 2015 infatti lo aveva avvisato che la farmacista era stata trovata morta in casa e aveva lasciato quel biglietto pesantissimo. A quel punto Giovannini era corso a casa della defunta. Un'interferenza, forse, ma non un illecito disciplinare.

Le ombre più scure si dissolvono. Resta lo squilibrio fra accusa e difesa.

Per questo, e solo per questo, Giovannini viene punito.

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