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"Asia Bibi vittima delle gelosie I cristiani? Cittadini di serie B"

L'esperto di islam parla della legge nera: "Viene abusata per vendette. O si abbraccia Allah o si fugge o si muore"

"Asia Bibi vittima delle gelosie I cristiani? Cittadini di serie B"

Impiccare Asia Bibi e islamizzare la Costituzione. Sono queste le due principali richieste degli oltre 25mila estremisti islamici che si sono assiepati per giorni davanti al Parlamento pakistano, nella capitale Islamabad. La folla si è dispersa mercoledì, poco prima che polizia ed esercito fossero costretti ad intervenire con le armi, ma ha messo ancora più pressione addosso ai giudici della Corte suprema, che dovranno giudicare il caso della donna pakistana condannata all'impiccagione per false accuse di blasfemia. Dopo l'attentato kamikaze di Pasqua in un parco di Lahore, che ha ucciso almeno 74 persone, le proteste «hanno terrorizzato ancora di più i cristiani», afferma Shahid Mobeen, presidente dell'associazione Pakistani cristiani in Italia, esperto della legge sulla blasfemia e docente incaricato presso la facoltà di Filosofia della Pontificia università Lateranense del corso Islam e Neoplatonismo.

Perché gli estremisti sono scesi in piazza?

«Protestano contro la recente esecuzione di Mumtaz Qadri, che loro considerano un eroe dell'islam. In realtà è l'assassino che ha ucciso nel 2011 il governatore del Punjab Salman Taseer».

Perché l'ha fatto?

«Perché Taseer, musulmano, aveva difeso pubblicamente Asia Bibi denunciando la legge nera sulla blasfemia».

Come sta Asia Bibi?

«È in carcere da 2.474 giorni, il suo caso è pendente alla Corte suprema e siamo in attesa dell'udienza. Se la condanna all'impiccagione verrà confermata, solo la grazia presidenziale potrà salvarla. Dopo le proteste, siamo ancora più preoccupati. Ma lei è forte».

È in carcere da sei anni e mezzo per aver bevuto un bicchiere d'acqua. Cosa la sostiene?

«È una donna di fede. Anni fa, mentre aspettava la sentenza della Corte, un giudice è entrato nella sua cella e le ha offerto la libertà in cambio del suo pentimento e della conversione all'islam. Lei ha risposto: Preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. Le difficoltà però non mancano».Cioè?«La famiglia vive lontano dal carcere e non può andare a trovarla spesso. Vive nella continua paura che qualcuno la uccida in cella o le avveleni il cibo. Questa tensione le ha causato anche danni psicologici».

Perché la legge sulla blasfemia è così pericolosa per i cristiani?

«Nessun membro delle minoranze, soprattutto cristiano, parlerebbe mai male di Maometto né dissacrerebbe il Corano, atti puniti dagli articoli 295 B e C del codice penale pakistano. Se i casi di blasfemia aumentano è perché la legge viene abusata. Le gelosie personali si trasformano in vendetta e così i cristiani finiscono perseguitati senza colpe».

Cosa c'entra la gelosia?

«I cristiani, grazie al lavoro della Chiesa, negli ultimi 40 anni sono cresciuti a livello sociale. La maggioranza infatti apparteneva alla casta degli intoccabili dell'India. Questo miglioramento a molti musulmani non va giù. A partire poi dagli anni '70, con il dittatore Zia ul-Haq, si è diffusa una cultura di intolleranza verso i cristiani, considerati atei e pagani perché non credono in Allah. Per questo devono convertirsi all'islam oppure fuggire oppure essere uccisi».

Com'è avvenuta questa diffusione?

«Soprattutto attraverso l'educazione: nei libri scolastici usati sia nelle scuole statali sia in quelle coraniche si parla male dei cristiani, si incita alla discriminazione. Vengono trattati come cittadini di serie B. Così si alimentano intolleranza e fanatismo religioso».

E poi si arriva agli attentati di Lahore.

«Sono in contatto con tante famiglie delle vittime e con l'arcivescovo Sebastian Francis Shaw, che è andato a trovare in ospedale i feriti, cristiani e musulmani. Da quello che mi dicono, tutti i cristiani del Pakistan ora hanno paura anche solo di uscire di casa. Dopo l'attentato le famiglie cristiane non hanno mandato i figli a scuola perché nel tragitto potevano essere esposti a insicurezze e possibili attacchi. Alcune famiglie del quartiere dove c'è stato l'attentato sono scappate».

Dove?

«In altre città. Sperano così di restare anonimi.

Hanno paura perfino dei vicini di casa».

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