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Ma dopo Assad è rischio caos. E gli islamisti rialzano la testa

Il rais depotenziato dall'azione americana, però non c'è un'alternativa. Così si rafforzano al Qaida e Isis

Ma dopo Assad è rischio caos. E gli islamisti rialzano la testa

Spentesi le vampate dei missili Tomahawk sulla Siria cala il buio sipario dell'incertezza. Dietro la scelta di un Donald Trump pronto a punire un «crimine di guerra» senza accertare a chi appartengano le armi, o i gas, usati per commetterlo si nascondono sei pesanti incognite. Sei incognite che rendono ancora più incerto il futuro del Paese.

1 Dietro Bashar il nulla

Addossare ufficialmente a Bashar Assad la responsabilità di un crimine di guerra e colpirlo con 59 missili equivale ad abbandonare qualsiasi tentativo di soluzione politica del conflitto. Uno scenario prefigurato anche nei comunicati dell'Ue che escludono trattative con il regime siriano. Trecentomila morti dopo si ritorna così al vicolo cieco del 2012 quando si scelse di delegittimare il rais senza indicare chi potesse succedergli. A tutt'oggi tra le fila dei ribelli dominati dai gruppi jihadisti non emergono figure capaci di offrire garanzie democratiche, né personaggi dotati del carisma indispensabile per unificare la turbolenta galassia dell'opposizione armata. Ma neppure all'ombra del regime s'intravvedono possibili successori. E così un eventuale dopo-Bashar si profila tremendamente simile al caos già sperimentato in Irak e Libia.

2 Al Qaida trionfa Isis si rafforza

Le modalità scelte da Trump per colpire il regime regalano una vittoria inattesa ad Al Qaida e un vantaggio inaspettato allo Stato Islamico. In tutta la provincia di Idlib non sono presenti né organizzazione di soccorso, né fonti giornalistiche indipendenti. Sia i famosi «elmetti bianchi» sia i fotografi e i giornalisti che hanno attribuito ad Assad la strage chimica sono forzatamente allineati a Jabhat Al Nusra. Così oggi la costola siriana di Al Qaida può vantarsi di essere riuscita a tirar per la giacca il presidente degli Stati Uniti. La distruzione della base aerea di Al Shayrat, indispensabile per garantire appoggio aereo al fronte di Palmira rischia di regalare un insperato vantaggio al Califfato pronte a tentare una veloce avanzata sull'asse Palmira-Homs.

3 A Raqqa tutto più difficile

L'intervento di giovedì notte rende assai più complessa l'offensiva su Raqqa, la capitale del versante siriano del Califfato che Trump ha promesso di strappare entro breve all'Isis. Per conquistare la città le forze speciali americane presenti nel nord della Siria possono contare solo sugli alleati curdi e su qualche migliaio di ribelli messi a disposizione dalle tribù arabe. Ma le forze arabe non bastano a piegare l'Isis mentre un'entrata dei curdi nella città scatenerebbe un intervento turco. Dunque l'unica possibilità resta il coordinamento con le forze siriane e russe incaricate di accerchiare il fronte sud della città. Un'ipotesi per ora decisamente sfumata.

4 Guerra mondiale i pezzi si ricompongono

La Russia ha già fatto capire di non voler più scambiare i dati sulle missioni aeree con gli americani e questo moltiplica i rischi di un incidente capace di far deflagrare un conflitto. Se a questo si aggiunge la presenza nei cieli degli aerei israeliani e sul terreno le attività confliggenti di esercito turco, forze speciali Usa, truppe russe, milizie sciite irachene, afghane e libanesi si comprende come la guerra mondiale a pezzi denunciata da Papa Francesco rischi ora di saldarsi in un unico conflitto.

5 Il fattore Iran

Per il «padrino» iraniano, non sempre in sintonia con gli «alleati» russi, la perdita della Siria è inaccettabile perché romperebbe quell'asse con Hezbollah che gli permette di minacciare Israele ed esercitare un ruolo da potenza regionale. Per Teheran, inoltre, l'intervento è stato influenzato dalla vicinanza di Trump ad Israele. E questo rischia d'innescare una serie di rappresaglie contro obbiettivi americani in Siria o sul suolo israeliano.

6 Il ritorno del Sultano

L'intervento russo aveva ridimensionato le mire del presidente turco Erdogan impegnato, fin dal 2012 a flirtare con Isis, Al Qaida e le altre formazioni jihadiste per il controllo su Aleppo. Confortato dall'intervento di Trump il presidente turco ha nuovamente rotto con Mosca riallineandosi con Jabhat Al Nusra. Il prossimo passo potrebbe essere un accordo con Washington per la creazione di zone di sicurezza dove garantire, come vorrebbe Trump, l'accoglienza degli sfollati. Un pretesto che permetterebbe a Erdogan d'inviare l'esercito ad appoggiare Jabhat Al Nusra e le altre forze jihadiste sottraendo territori a Damasco.

E aumentando il rischio d' uno scontro con Russia e Iran.

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