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Astensione su «Mr Tagli», il M5s si sfila

I grillini bocciano la «non sfiducia tecnica» all'esecutivo neutrale

Astensione su «Mr Tagli», il M5s si sfila

Roma - Un primo miracolo l'ha fatto, il (non) governo Cottarelli. «Ha fermato gli orologi», titolavano ieri molti siti e agenzie di stampa. Al suo passaggio, anzi al suo solo comparire, con la lista dei tagli presumibilmente dentro il trolley che porta sempre dietro, il tempo s'è fermato. Tutti a guardarsi, su al Colle e giù nei Palazzi. «Chi diavolo lo vota?».

La questione ha avuto il pregio di favorire un secondo miracolo, tutto italiano: la ripresa delle trattative per un governo politico, «nuove possibilità sono emerse», ha confermato lo stesso Cottarelli, ma sempre non parlando di sé bensì degli altri. Il problema non è di poco conto, e ha rappresentato un corto circuito nell'avvitamento su se stessi avvenuto al Quirinale. Quando si è tornati infatti al «piano A» di Mattarella, il governo tecnico per varare la manovra e condurci a nuove elezioni a primavera '19, è stato chiaro fin dall'inizio che dopo quello che era accaduto, con i gialloverdi ancora furibondi per lo stop, l'esecutivo sarebbe nato «zoppo», cioè di minoranza. Essendosi poi sfilati via, uno dopo l'altro, prima Berlusconi, poi Renzi, e giù giù fino al Maie (italiani all'estero), era evidente che non sarebbe rimasto più nessuno a votarlo: uno schiaffo del Parlamento al Capo dello Stato dolorosissimo. Nessun «viatico» pacificatore, bocciatura completa dell'itinerario di Mattarella, guerra totale in Parlamento dichiarata da Salvini con il suo «governo-ombra» che avrebbe sconfessato nei fatti Cottarelli e chi per lui. A quel punto, per scongiurare il cul de sac non rimaneva che una strada: sciogliere le Camere un minuto dopo la figuraccia della sfiducia a Cottarelli, così accelerando però la corsa verso le elezioni. È stato allora che ci si è resi conti che il percorso nasceva con un errore marchiano ed è cominciata la frenata. Una cosa del genere non sarebbe stata né possibile, né auspicabile, né avrebbe aiutato l'Italia a uscire dall'impasse. I mercati con i tonfi di questi giorni hanno provveduto a chiarire che il problema vero e grande non si chiama neppure Paolo Savona, bensì incertezza.

Ma se anche stavolta l'esito «politico» dovesse arenarsi - la disponibilità mostrata da Quirinale serve anche a migliorare un po' il clima - occorrerà che Cottarelli ottenga in Parlamento se non proprio una fiducia piena, almeno una «non sfiducia» concordata. Un accordo di tutti per astenersi, riconoscendo (almeno) la neutralità dell'arbitro. La trattativa delle ultime ore si snoda sulla durata di questo fragile esecutivo e sui pochi provvedimenti da concedergli, di natura prettamente economica. Le elezioni sarebbero in autunno comunque, magari anticipando però la manovra e sterilizzando le clausole di salvaguardia che eviterebbero un aumento dell'Iva già a luglio. «Un percorso ordinato verso elezioni il prima possibile», lo ha definito con ragionevolezza il leghista Giorgetti. «Chi parla di non sfiducia tecnica rievoca pratiche che erano mal digerite perfino nella prima Repubblica, figuriamoci nella terza», ha bocciato invece l'ipotesi Di Maio.

Per il quale, una contaminazione di M5s con gli altri partiti del mazzo equivarrebbe alla fine del sogno.

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