Politica

Atti distrutti dal "cervellone" Ora in tribunale è emergenza

In tilt il sistema informatico acquistato con fondi Expo «Errori fatali, possibile che documenti vadano dispersi»

Atti distrutti dal "cervellone" Ora in tribunale è emergenza

A ppalti milionari assegnati senza gara, su decisione dei giudici milanesi e del ministero della Giustizia, in nome dell'efficienza e della rapidità: e adesso si scopre che i sistemi informatici realizzati con queste scorciatoie fanno acqua da tutte le parti, rischiando di mandare in tilt la giustizia milanese e addirittura inghiottendo quantità imprecisate di atti processuali. E pensare che l'ammodernamento del processo civile era stato presentato come il fiore all'occhiello della giustizia in vista di Expo, e per questo finanziato con valanghe di fondi pubblici.

Nella vicenda degli appalti Expo nel tribunale di Milano fa irruzione una lettera di Roberto Bichi, presidente del tribunale, inviata all'Ordine degli avvocati milanesi ma destinata a finire nel fascicolo d'inchiesta aperto dalla Procura della Repubblica di Venezia, cui la competenza è approdata perché tra i sospettati non ci sono solo magistrati milanesi ma anche Claudio Castelli, attualmente presidente della Corte d'appello di Brescia. Un fascicolo di indagine che, secondo quanto si apprende negli ambienti giudiziari veneziani, va arricchendosi di nuovi documenti. Oltre alla relazione dell'Anac, l'autorità anticorruzione, che segnalava tutte le irregolarità compiute con 10 dei 15 milioni di euro stanziati, e alle deduzioni del Comune di Milano che rifilava le colpe ai magistrati, la Procura veneziana ha acquisito anche il report che il ministero della Giustizia - a firma del giudice Pasquale Liccardo, capo della Dgsia, la direzione per i sistemi informativi - ha steso per rivendicare la correttezza delle procedure seguite.

Ma è proprio la lettera di Liccardo a contrastare fragorosamente con quanto ora sta accadendo a Milano, ovvero la catastrofe del sistema informatico. Secondo il dirigente ministeriale, una gara d'appalto per il cosiddetto «Processo civile telematico» era «tecnicamente impossibile» perché si rischiava che venisse vinta da aziende diverse da quella che aveva fornito il «codice sorgente» del programma, e che poteva garantire lo sviluppo adeguato del software e della «consolle del magistrato», lo strumento che ogni giudice utilizza per dialogare col sistema. Efficienza, efficienza. Così l'intero boccone finisce senza sforzo a Elsag Datamat.

Ma il sistema inizia presto a mostrare falle vistose. Le denunciano gli stessi magistrati, e soprattutto gli avvocati che segnalano a più riprese l'impossibilità di trasmettere e accedere per via informatica ai fascicoli del processi. Dopo le ferie, la situazione anziché migliorare peggiora. E l'altro ieri Bichi scrive agli avvocati: «Come avete potuto constatare direttamente si sono determinati gravi malfunzionamenti del sistema, con forte accumulo di atti. Cisia (la struttura informatica del ministero, ndr) è impegnata nel recupero degli errori fatali; allo stato non sembra possa escludersi comunque l'eventualità di atti dispersi». E, come se non bastasse, «si pone il problema della data di deposito per gli atti inviati dagli avvocati e rimasti in situazione di non conoscibilità da parte delle cancellerie e del giudice».

In questo caos, diventa cruciale per l'inchiesta veneziana capire da chi sia venuta la decisione di aggirare le norme. Ma il Comune di Milano è già stato netto: «fabbisogni, valutazioni e scelte operative sono state eseguite dagli Uffici giudiziari con il contributo della Dgsia.

Il Comune si è limitato a adottare i conseguenti provvedimenti amministrativi».

Commenti