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"Avvisi di garanzia e accertamenti E alla fine i Comuni si bloccano"

Il presidente Commissione Ambiente della Camera: "Le amministrazioni temono i controlli della Corte dei Conti"

"Avvisi di garanzia e accertamenti E alla fine i Comuni si bloccano"

Roma - Certo, è una questione di cambiamenti climatici e di un territorio fragile e spesso mal gestito, ma anche di una burocrazia che rende difficile l'utilizzo di risorse, che spesso ci sono, e talvolta frena l'iniziativa di chi deve decidere come spenderli quei soldi, temendo di inciampare legalmente nei meccanismi complessi che ne regolano l'utilizzo. Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera e presidente onorario di Legambiente, parla di queste problematiche che periodicamente si ripresentano come di una sfida da cogliere per salvare vite umane e anche come un'opportunità per muovere l'economia.

Dunque non è un problema di risorse?

«No, finalmente le risorse sono interessanti, anche se dovrebbero essere di più. In questa legislatura è stato stanziato oltre un miliardo di euro l'anno per sette anni».

Eppure si procede a rilento e le tragedie come quella di Livorno si ripetono.

«Spesso, anche quando le risorse ci sono c'è lentezza, troppa burocrazia. Oppure accade che passata la paura ci si rilassa. Le faccio un esempio: nel 2013 ci fu un alluvione in Sardegna, che colpì anche Olbia. Morirono delle persone, anche lì stavano nei seminterrati in un'area dove non si doveva costruire. Sono stati stanziati dei fondi con i quali bisognava fare una cassa di espansione per evitare che l'acqua in casi di emergenza andasse sulle case. Invece questi soldi sono fermi perché il Comune ad un certo punto si è opposto. Questo non è accettabile».

Le colpe, dunque, sono da individuare anche a livello dei comuni?

«Diciamo che spesso è lì che i tempi si allungano, i progetti non vengono fatti o vengono fatti male e spesso c'è la preoccupazione, comprensibile, di una parte della pubblica amministrazione che se succede qualcosa poi passi i guai dopo».

Come accaduto nel dopo-terremoto?

«Esatto, c'erano tante cose che potevano essere eseguite con procedura d'emergenza e così non è stato perché il funzionario chiamato a decidere ha fatto un ragionamento elementare: oggi sono tutti d'accordo, poi tra due o tre anni, quando mi arriva un avviso di garanzia o un accertamento della Corte dei Conti, io sono solo. Anche questa è una cosa che deve essere risolta. Ci vuol certo senso di responsabilità, ma bisogna stare attenti a non confondere il controllo di legalità con il blocco. In questi casi bisogna agire, bene ma agire».

In che modo?

Su più livelli, a partire dalla politica e dall'economia, capendo che affrontare certe sfide può essere anche un'occasione per costruire un'economia più forte che produce lavoro, più competitiva. Poi bisogna saper gestire il territorio: quelle case a Livorno per esempio sono state costruite in posti dove non si doveva, non sono abusive come pure accade spesso, ma se costruisci dove prima scorreva l'acqua e tombi dei corsi d'acqua il problema c'è. Quindi bisogna prendere atto del fatto che c'è un pericolo, capire come lo si affronta e fare tempestivamente i lavori necessari».

Le questioni ambientali invece spesso sono viste come un fastidio?

«Si, soprattutto lontane dai problemi. Questo è come sui terremoti. Anche se spero che la situazione stia cambiando, spesso dopo i sismi ci rendiamo conto che avremmo potuto salvare vite se si fosse costruito meglio, nonostante ciò passata l'emergenza ce ne dimentichiamo. Eppure la messa in sicurezza delle case sarebbe una straordinaria occasione di lavoro.

Certe politiche possono favorire un'economia basata sulla qualità e sulla sicurezza, ma questo passaggio richiede anche un cambiamento di cultura da parte dei cittadini, che devono imparare a premiare le amministrazione che non agiscono soltanto guardando all'oggi ma che hanno un occhio più lungo, a scapito del consenso».

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