Politica

Avviso alla minoranza del Pd La scissione si minaccia, non si fa

Le scissioni nei partiti sono sempre d'attualità. Ne abbiamo viste tante in un passato remoto, e anche in un passato recente, e nessuna di esse ha portato a buoni risultati, nel senso che (...)

(...) non se ne sono giovati né coloro che le hanno provocate né coloro che le hanno subite. Lasciamo agli storici il compito di ricostruire e analizzare le spaccature avvenute negli ultimi 100 anni, limitandoci a ricordare quelle che non sfuggono alla memoria del cronista. Sorvoliamo cioè sulla divisione tra comunisti e socialisti, che risale alla notte dei tempi, ma comunque cominciamo la nostra analisi proprio dalla sinistra, la più incline a spacchettarsi e a combinare disastri.

Quando il Psi di Pietro Nenni (già amico del socialistissimo Mussolini, direttore prodigioso dell' Avanti! ) si convinse ad appoggiare il primo esperimento di governo di centrosinistra (presidente Amintore Fanfani), naturalmente «dall'esterno» per usare il politichese, nel suo partito, il cui simbolo recava il sol dell'avvenire (con sottostante falce e martello), si registrarono fermenti, ben presto trasformatisi in lotte intestine. Mentre i nenniani, e il loro leader, erano entusiasti di entrare nella stanza dei bottoni, salvo poi accorgersi che la stanza in effetti c'era ma i bottoni erano già stati rubati, l'ala estremista condannava tale operazione e predicava la necessità di restare all'opposizione, in nome del popolo e dei lavoratori.

Dopo discussioni e liti furibonde, constatata l'inamovibilità di Nenni dal suo proposito di partecipare alla guida del Paese, la componente proletaria del Psi si staccò dalla casa madre e fondò il Psiup, Partito socialista di unità - manco a dirlo - proletaria. Un movimentino che alla prova elettorale si rivelò velleitario: non superò percentuali omeopatiche. Viceversa il ceppo maggioritario, il tronco nenniano, ebbe lunga benché travagliata vita fino alla disfatta di Tangentopoli. Ma questo è un altro discorso.

Andiamo avanti veloci per non annoiarvi, e saltiamo agli anni Settanta. Il Pci fu scosso da polemiche interne. Lucio Magri, Rossana Rossanda, Eliseo Milani, Luigi Pintor e altri, insoddisfatti della rigidità imposta dal centralismo democratico (si fa per dire) di Botteghe Oscure, diedero alla luce Il Manifesto , che dapprima fu soltanto un giornale, poi anche un partitino. Una cosuccia tanto piccola da passare inosservata, ma dotata di una certa forza intellettuale. Che in ogni caso non servì a modificare in modo sostanziale la mappa politica nazionale. Il Manifesto si è estinto in Parlamento e (quasi) in edicola. Pace all'anima sua.

Rapidamente proseguiamo. La Dc, strapazzata da Antonio Di Pietro, fu sepolta dal povero Martinazzoli, il quale poi cercò di riesumarla con un nome diverso: Partito popolare. Senza successo. All'iniziativa di Mino, detto Cipresso, non aderì Pier Ferdinando Casini che preferì aprire una botteguccia personale, la cui ultima insegna fu Udc.

La strage è proseguita. Perfino Gianfranco Fini non resistette alla tentazione di mettersi in proprio: varò una navicella battente una bandiera strana, Futuro e libertà, ovvero Fli, che pareva un insetticida. Affondò in fretta insieme con il comandante e i nocchieri. Storia emblematica, ma non pedagogica. Tant'è che un altro visionario, privo di quid ma non di ingratitudine, abbandonò Forza Italia, o come diavolo si chiamasse, e fece nascere il Nuovo centrodestra, così nuovo da essere già sotto la tenda a ossigeno, a meno di due anni dai vagiti iniziali.

Ci sembra che ce ne sia abbastanza per scoraggiare i «nemici» di Matteo Renzi, intenzionati a mollare il Pd per costituire un gruppo di sinistra che più di sinistra non si può, nella speranza che esso cresca al punto da battere o almeno mettere in difficoltà il Rottamatore (e la sua orchestra di pifferi). Il più intelligente di costoro è Massimo D'Alema (vanta un curriculum di tutto rispetto), il quale difatti è perplesso: teme che una formazione avversaria dell'ex sindaco di Firenze, qualora si voti la prossima primavera, possa uscirne con le ossa stritolate. Ha ragione. Egli conosce la politica e i tormenti della medesima, pertanto nicchia: preferirebbe riconquistare la leadership democratica sventolando il vessillo del Pd.

Fossimo in Fassina, Rosy Bindi, Cuperlo eccetera daremmo retta al vecchio (ma più giovane del sottoscritto) condottiero baffuto, che ha naso ed esperienza da vendere: ci accontenteremmo di temporeggiare in attesa di verificare se il premier è un fenomeno o un fenomenale bluff. Ciò comporta un rischio: se il signorino Renzi fosse in grado di realizzare il 10 per cento di quanto ha promesso, i ribelli non avrebbero l'opportunità di essere rieletti, essendo già vittime designate del formidabile parlatore (a vuoto?). Peggio ancora, però, per il drappello di sinistra spinta, sarebbe qualora esso si organizzasse in un partitino marginale e, come tale, destinato a morire ammazzato dagli eventi.

Buona fortuna, compagni. E rammentate: il mondo è cambiato in fretta e voi siete ancorati alle caverne della Camusso. O ne uscite o ci rimarrete intrappolati.

Attenti cioè a non emulare Fausto Bertinotti, il padre di Rifondazione comunista, sorta da una costola del Pci, trasformato in Pds tra il 1989 e il 1990 da Achille Occhetto allorché il Muro di Berlino gli crollò in testa, avvertendolo che la Grande Utopia in realtà era una boiata pazzesca.

Perseverare negli errori - lo dicevano i nonni - è diabolico.

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