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Bangkok dopo il golpe sceglie ancora i militari

Il Paese torna alle urne dopo cinque anni, ma la giunta al governo si era già assicurata la vittoria

Bangkok dopo il golpe sceglie ancora i militari

La Thailandia si è svegliata pensando al futuro, ma rimanendo legata al passato. Le elezioni politiche, le prime «semi-libere» dopo il golpe del 2014, sono state vinte dal partito Palang Pracharath, che sostiene l'attuale primo ministro Prayut Chan-o-cha, nominato dalla giunta militare che aveva compiuto il colpo di stato. Il movimento legato all'esercito ha ottenuto 7 milioni di voti, poco più di 400mila preferenze in più rispetto al Pheu Thai, partito populista fondato dall'ex primo ministro (oggi in esilio) Thaksin Shinawatra.

Il regime di transizione voleva rimediare all'instabilità politica degli ultimi anni consegnando al popolo un nuovo testo costituzionale. Nella realtà, il generale Chan-o-cha ha instaurato una dittatura militare repressiva rimandando di anno in anno la chiamata alle urne. Dopo la promulgazione della nuova Costituzione del 6 aprile del 2017, la ventesima della storia thailandese, il Governo militare ha dato il via libera alle elezioni recapitando agli aventi diritto al voto un mazzo di carte truccate. La Costituzione infatti è stata pensata per permettere allo sconfitto di un'elezione di guidare comunque il governo. In pratica, per ricevere la fiducia dalle camere riunite come primo ministro, Prayut Chan-ocha ha avuto bisogno di soli 126 deputati, potendo contare sull'appoggio di tutti i senatori.

La Thailandia, vale la pena ricordarlo, ha lottato per superare le divisioni politiche che hanno messo radici fin dal 2001, quando il magnate delle telecomunicazioni Thaksin Shinawatra, conosciuto in Europa per essere stato proprietario del Manchester City (poi ceduto agli emiri di Abu Dhabi), ha ottenuto il potere promettendo di aiutare i poveri delle aree rurali. L'ascesa di Thaksin aveva galvanizzato i ceti meno abbienti a lungo trascurati, dando anche il via all'onda d'urto della vecchia guardia, incentrata sull'elite di Bangkok che aveva dominato a lungo la politica del Paese. Anche dopo che Thaksin e la sorella, Yingluck Shinawatra, sono finiti in esilio per degli scandali di corruzione, i partiti in linea con la famiglia hanno vinto tutte le elezioni che si sono tenute negli ultimi 20 anni. Tutto questo fino al 22 maggio del 2014, quando i militari sono riusciti con la forza a ribaltare la situazione, annunciando in diretta televisiva di aver preso il controllo del governo, per «riportare l'ordine e condurre la Thailandia verso le riforme costituzionali».

Negli ultimi anni le divisioni politiche più marcate in Thailandia sono emerse tra «camicie gialle» e «camicie rosse». Quelli in drappo giallo rappresentano la nomenklatura di Bangkok, vicina al Re. I rossi sono le masse povere delle campagne e delle città del nord e del nord-est, sostenitori dei governi populisti. I militari in Thailandia sono tradizionalmente vicini al Re, quindi alle camicie gialle, mentre il governo di Shinawatra era più che altro espressione delle camicie rosse.

Non si escludono nei prossimi giorni manifestazioni e proteste di piazza da parte delle fasce povere del Paese. In attesa che il re Vajiralongkorn, figlio dello storico sovrano Bhumibol Adulyadej (in carica per cinquant'anni) e figura più ambigua ed imprevedibile dell'amato padre, possa inserire in questo braccio di ferro una terza variabile nei già delicati rapporti tra politici e militari.

Ci avrebbe voluto provare sua sorella, Ubolratana Mahidol, ma la candidatura a premier della principessa è stata stoppata ufficialmente dalla Commissione elettorale thailandese che, avvalendosi della nuova Costituzione, considera la famiglia reale al di sopra della politica e politicamente neutrale.

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