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A Bari, nel centro immigrati diventato un alveare

La prefettura: "Non sappiamo più dove ospitare gli immigrati e il Ministero ci chiede nuovi posti"

A Bari, nel centro immigrati diventato un alveare

"Non sappiamo più dove ospitare gli immigrati che continuano a sbarcare, le strutture a nostra disposizione sono oramai al collasso, e il Ministero ci chiede nuovi posti. Non facciamo in tempo a bandire le gare d'appalto, non abbiamo soluzioni. E finiamo per riempire quelle strutture all'inverosimile». A parlare è una fonte interna alla prefettura di Bari. Qualche giorno fa il Viminale, in una circolare, ha chiesto di reperire «perentoriamente» altri 6500 posti sul territorio nazionale, anche con provvedimenti di occupazione d'urgenza, requisizione e trattativa privata. La requisizione è un provvedimento che impone ai cittadini, in casi di emergenza particolare, di concedere alle autorità immobili privati per fini statali. La trattativa privata permette di risparmiare tempo, evitando di indire la gara d'appalto.

Ma i prefetti pugliesi, in un tavolo regionale che si è tenuto venerdì scorso, hanno deciso di non utilizzare questi strumenti: tutti vogliono procedere ordinariamente. Anche perchè, «prima di bandire la gara, su indicazione del Ministero – prosegue la nostra fonte in prefettura - abbiamo chiesto ai comuni della provincia la disponibilità di immobili sfitti, ex scuole, ex palestre e così via, da utilizzare per fronteggiare l'emergenza. Ma hanno risposto di non avere immobili a disposizione».

Per capire qual è la situazione siamo entrati nel Cara di Bari, gestito dalla cooperativa Auxilium. L'enorme centro per richiedenti asilo sorge all'interno della base dell'aeronautica, alle porte della città. La roulottopoli sulla vecchia pista dell'aeroporto militare, che dal 1991 ogni estate era destinata alla prima accoglienza dei migranti, ha lasciato il posto nel 2008 ad un piccolo villaggio di prefabbricati e cemento. Un centro inizialmente pensato per 744 ospiti, che attualmente è occupato da 1544 persone. Oramai i piccoli moduli, pensati per 6 persone, ne accolgono il doppio: in ogni minuscola stanza alloggiano 8 ospiti su 2 letti a castello quasi appiccicati. Nella struttura c'è tutto: dall'ufficio amministrativo all'area sociopsicopedagogica, dall'area medica a quella legale, come ci illustra il direttore Michele Di Lorenzo. Eppure all'interno delle casette ti manca l'aria.

C'è un grande piazzale di cemento, intorno ad una cupola di tela, usata come mensa e sala comune. Ci sono campi da calcio, una chiesa ed una moschea. Per ciascun richiedente asilo ospitato arrivano nelle casse della cooperativa 33 euro al giorno, con cui vengono pagate anche le oltre 170 persone impiegate all'interno. Si parla di oltre un milione e mezzo di euro al mese. A ogni ospite vengono consegnati 3 euro e 50 quotidianamente, da spendere allo spaccio interno. Possono entrare e uscire quando vogliono (c'è un servizio bus navetta che porta al centro della città) ma non si capisce cosa facciano i ragazzi fuori (l'età media è di 26 anni), dal momento che non hanno un euro in tasca.

Tutti chiedono l'asilo politico. A decidere è la Commissione territoriale che deve convocare ogni migrante per un'audizione. I tempi di attesa si sono allungati a 7, 8 mesi solo per l'intervista, proprio a causa dell'emergenza. Poi arriva la decisione, che può essere impugnata dall'interessato. Anche quando l'asilo politico viene negato, l'ospite può fermarsi nel centro per anni.

«Sono qui da un anno. Aspetto di essere convocato dalla Commissione. Sono nato in un campo profughi tra l'Iraq e l'Iran, e vivo ancora in un campo profughi. Se nessuno mi dà un documento non potrò mai vivere e lavorare», ci racconta un 22enne iraniano. «Ma dove pensi di trovare lavoro?», gli chiediamo. «In Italia», risponde sorridente.

Quasi tutti gli immigrati sono cresciuti con il sogno italiano, di un Italia che oramai è al collasso e non può più neppure trovare un posto letto per loro.

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