Politica

Battaglia su ogni nave: gli amici dell'invasione e la strategia del ricatto

L'Italia segna un punto, ma serve un piano di lungo periodo. Le Ong pronte a sfidare Roma

Gian Micalessin

Chi osa vince. Sul caso Aquarius Matteo Salvini ha osato e grazie al bisogno di visibilità del neo premier socialista spagnolo Pedro Sanchez ha garantito all'Italia una significativa vittoria sul fronte dell'immigrazione. Non è stato facile. I volontari ( o i militanti?) di Msf, imbarcati sull'Aquarius hanno utilizzato fino all'ultimo l'arma della compassione umanitaria per frapporsi alla decisione di due stati sovrani come Italia e Spagna e deviare l'Aquarius verso un porto italiano. La vocazione umanitaria dell'organizzazione ha lasciato il posto, insomma, ad obbiettivi meramente politici rivolti non più a prestar soccorsi, ma ad abbattere la sovranità territoriale dell'Italia. Metamorfosi pericolosa perché minaccia, se ad Msf sarà concesso di operare in questi termini, di trasformare il Mediterraneo in un mare senza legge.

Per fortuna il governo italiano non si è piegato e a tarda sera ha annunciato la decisione di far proseguire Aquarius verso Valencia. Ma vincere una battaglia non significa chiudere la partita. E lo dimostra l'imbarazzante caso della Diciotti, il pattugliatore della Guardia Costiera con a bordo 937 migranti in rotta verso Catania. L'episodio impone la trasmissione di nuove disposizioni alle Guardia Costiera e al centro Marittimo di Soccorso per meglio ripartire le modalità d'intervento nel Mediterraneo. Prima di trovare un accordo con l'Europa Salvini deve garantirsi, insomma, il controllo delle strutture italiane. Subito dopo deve presentare all'Europa una strategia di lungo periodo. L'impennata delle partenze dalla Libia fa capire che la strategia di contenimento non può basarsi sugli accordi con un governo di Tripoli troppo fragile per garantire continuità.

I piani della missione navale europea Sophia, utilizzata per salvare i migranti e addestrare la Guardia Costiera libica, prevedono una fase finale in cui le truppe a bordo delle navi possono operare nelle acque territoriali libiche e, se necessario, per colpire anche a terra i trafficanti di uomini. Il passaggio a questa fase esige un via libera dell'Onu o di Tripoli ottenibili solo con l'appoggio di Bruxelles. Il premier Giuseppe Conte pronto ad incontrare il presente francese e la Cancelliera Angela Merkel farà bene a chiedere ai due se sono disposti a rilanciare quella fase dell'operazione. Anche perché ai militari si potrebbero affiancare gli agenti di quella Frontex che la Merkel ipotizza di utilizzare al di là dei confini europei.

Si tratterebbe, insomma, di sviluppare la cosiddetta «rivoluzione copernicana» del premier austriaco Kurz. Una rivoluzione incentrata sull'idea di fermare i migranti irregolari sulle sponde africane, garantirne l'internamento in campi protetti da Frontex per poi avviare rimpatri volontari. L'appoggio alla «rivoluzione» di Kurz faciliterebbe i rapporti con quell'Europa Orientale, Ungheria di Orban in testa, che vede come fumo negli occhi una riforma del trattato di Dublino basato sulla ridistribuzione dei richiedenti asilo. Anche perché riprendere le fila di quella riforma significa impegnarsi in mesi di estenuanti e forse inutili trattative. Più facile dunque pretendere accordi di rimpatrio con i paesi d'origine dei migranti stipulati da Bruxelles utilizzando la minaccia del taglio degli aiuti economici. Il tutto mettendo sul tavolo accordi di collaborazione tra l'Italia e i paesi che accetteranno di riprendersi i propri cittadini. E senza dimenticare l'impegno in paesi come il Niger da cui passano le rotte dell'immigrazione.

E dove la missione militare approvata dal nostro Parlamento resta in una situazione di inaccettabile stallo.

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