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Di Battista insulta ma ammette: "In debito con i dipendenti"

Il grillino furioso per lo scoop del «Giornale» ci minaccia Il Pd lo attacca. E Renzi ci riprende e bacchetta la Rai

Di Battista insulta ma ammette: "In debito con i dipendenti"

«Maccarone, mi hai provocato e io te distruggo». Sempre più simile all'indimenticabile finto-americano Nando Meliconi di Alberto Sordi, l'ottimo Dibba è infuriato per l'inchiesta con cui il Giornale ha rivelato le magagne dell'azienda del genitore e sua, specializzata in cessi chimici. E reagisce da par suo, minacciando sconquassi. «Se provocate - tuona il novello Meliconi rivolto al Giornale - mi tocca tornare ad Arcore sotto la villa del vostro padrone». E che vuol andare a fare, sotto la villa di Silvio Berlusconi? Nientemeno che leggere «dei pezzi della sentenza» sulla fanta-trattativa Stato-Mafia. Pensa che barba. Ma lui è inflessibile: «L'avete voluto voi, evidentemente».

Il problema è che, tra una immaginifica rappresaglia e l'altra, gli tocca ammettere che i dati forniti dall'inchiesta erano tutti veri, che i debiti ci sono e che la Ditta di Papi ha «enormi difficoltà» e non paga i dipendenti, «tra cui mia sorella»: sai che consolazione per gli altri. Di rincalzo interviene anche il genitore (quello che secondo Alessandro Di Battista sarebbe «un fascista molto liberale», come dire un vegano molto carnivoro): «Esorto gli amici, i conoscenti ed i segugi al soldo di leggere, se ne sono capaci, i bilanci», verga sibillino su Facebook Vittorio Di Battista. A parte la grossolana sgrammaticatura («esorto di leggere» è da matita blu), leggere i bilanci è esattamente quel che faceva l'inchiesta del Giornale (ovviamente siamo noi i «segugi al soldo»).

Nel prolisso post di replica, oltre a minacce e sbruffonate, ci sono anche le lacrime: per giustificare i guai finanziari, Dibba fa un pianto greco sulla crisi delle Pmi, nel cui calderone butta il proprio caso: «Ebbene sì, la nostra azienda va avanti con enormi difficoltà. Mio padre, a oltre 70 anni, lavora come un matto. Il carico fiscale è enorme». L'azienda «tira avanti sperando che i colpevoli, che (...) oggi provano a fare i carnefici, vengano cacciati una volta per tutte». Il senatore Pd Francesco Bonifazi gli fa perfidamente notare che però i piccoli imprenditori in difficoltà cui lui si accomuna «vanno avanti tirando la cinghia, non facendosi vacanze spesate ai Caraibi». E mentre sui social dilaga (non a vantaggio dell'interessato) l'hashtag «Di Battista», anche Matteo Renzi riprende la notizia del Giornale e sottolinea: «Per una cosa del genere - che riguarda uno dei principali leader del partito di maggioranza - si dovrebbero aprire i siti, dedicare servizi ai Tg, chiedere commenti e fare giornalismo di inchiesta. Vorrei ricordare che mio padre è stato l'apertura dei Tg per giorni, l'argomento principale dei talk per intere settimane. E al momento le condanne le ha prese solo Travaglio, non lui». Invece, denuncia, «la Rai grillina ha totalmente ignorato la notizia».

Di certo però la vicenda ha rovinato una giornata cruciale per Dibba, quella in cui doveva alimentarsi la suspense attorno al Gran Ritorno di «Ale» (detto Nando) dal Nuovo Mondo. La Casaleggio stava probabilmente già predisponendo i calendari dell'Avvento, con le finestrelle da aprire di qui alla mezzanotte del 24, quando - oltre all'obsoleto Gesù Bambino - arriva pure lui, e si chiude in conclave con Gigino Di Maio. La località è ignota, ma è facile immaginare il livello brillante della conversazione, e la calda corrente di simpatia tra i due.

L'operazione Dibba, che nelle loro speranze avrebbe dovuto dare nuovo smalto ai disastrati Cinque Stelle, è partita insomma col piede sbagliato.

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