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Di Battista sbaglia "popolo" e prende i fischi

In piazza scambia i neoborbonici per i grillini. Insultato e cacciato

Di Battista sbaglia "popolo" e prende i fischi

Roma Attimi di colossale imbarazzo postati in diretta su Facebook. La cronaca della nemesi grillina comincia alle due e mezza di un'ottobrata romana. Fa caldo, troppo caldo. I rivoluzionari del Movimento Liberazione Italia, guidati dall'ex generale dei carabinieri (con vitalizio da parlamentare) Antonio Pappalardo si piazzano davanti a Montecitorio. Lottano contro la partitocrazia. Pannella sarebbe stato orgoglioso di loro. Armati di tamburi e megafoni chiedono ai parlamentari di sloggiare da Montecitorio: «Fuori da lì, ladri», urlano. La piazza è eterogenea: c'è qualche cane sciolto leghista, i forconi, gli autonomisti lombardo-veneti. Persino i no-vax e i neoborbonici. L'anarchia regna sovrana.

Nel frattempo nel palazzo si sta per discutere la legge elettorale e il governo si appresta a votare la fiducia. I grillini hanno annunciato barricate. L'aitante Alessandro Di Battista sceglie di lasciare il palazzo per gettarsi tra la folla, convinto che siano tutti dei Cinque Stelle. Dove c'è una piazza c'è lui. Si toglie la giacca, sale sulla balaustra che divide la piazza del palazzo dai manifestanti con notevole gesto atletico, e arringa la folla. «Grazie di essere qui, siete tantissimi, non so chi vi ha convocato, ma grazie, veramente». Non ha il megafono e nessuno lo sente. Continua: «Che deve fare il popolo italiano se non scendere in piazza? Bravi. Il problema principale è relativo ai tre quarti di nominati previsti da questa legge elettorale».

Tutto sembra filare liscio, almeno per un attimo. «I Cinque stelle sono nostri fratelli, se vorranno unirsi alla nostra battaglia li accoglieremo a braccia aperte, ma devono uscire da questo Parlamento di abusivi», urla (al megafono) Pappalardo. Anche Di Battista ne prende uno di megafono per farsi sentire meglio: «Solo Mussolini con la legge Acerbo e De Gasperi con la legge truffa hanno messo la fiducia sulla legge elettorale, è uno schifo. Non è solo una legge contro una forza politica, ma contro la nostra democrazia». Aggiunge: «Ora stiamo dentro perché forse con qualche voto segreto facciamo saltare questa porcata». La piazza, che lo aveva accolto con qualche applauso, è allibita: in realtà loro stanno lì per fare la rivoluzione che centra nulla col Rosatellum bis. Partono i fischi, seguono insulti gratuiti. Di Battista comincia a sudare, si incarta paurosamente: «Non molliamo, al di là dell'appartenenza politica, seguiteci». Ma è come sparare sul presepe: «Ma se manco ci conosci buffone, vattene, ma che ca... dici, abusivo, non restare dentro, vattene...», replicano i manifestanti. Dibba si sbraccia, prova a fare finta di niente, ma il popolo impietoso non molla di un centimetro; lui restituisce il megafono e rientra mestamente nel palazzo tra i fischi assordanti. Pappalardo ci mette il carico: «Loro stanno nel palazzo a parlare con i ladri, io invece con i ladri non ci parlo».

Applausi.

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