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Una battuta del Cavaliere manda in tilt i due alleati

"Non democratici". La frase rompe il dialogo con i Cinque Stelle

Una battuta del Cavaliere manda in tilt i due alleati

Roma - Quando Matteo Salvini arriva a Palazzo Grazioli, due ore prima di andare al Colle, trova già pronto il comunicato da leggere dopo la consultazione con Sergio Mattarella. Silvio Berlusconi glielo fa digerire, concedendo solo qualche ritocco e il leader leghista lo declama al Quirinale. Ma alla fine, il Cavaliere aggiunge la battuta antigrillina sui «veri democratici e chi non lo è» e manda Salvini su tutte le furie. Quella nota il Cavaliere l'ha soppesata e limata nel pranzo con il suo stato maggiore. Là erano tutti d'accordo, sulla risposta al veto di Di Maio: «Dobbiamo dire con fermezza no al sacrificio umano del presidente per fare un governo, perché non è di una persona, ma di tutta Forza Italia e dei 5 milioni di elettori che l'hanno votata». Nessun cedimento, nessun passo di lato del leader azzurro e unitarietà del centrodestra, è la linea.

Con il Cavaliere ci sono Gianni Letta, Niccolò Ghedini, Annamaria Bernini, Mariastella Gelmini, Licia Ronzulli, Sestino Giacomoni, Giorgio Mulè, Alberto Barachini e Valentino Valentini. Il più preoccupato di un strappo della Lega è Letta. «Ci vogliono annettere, vogliono farci scomparire», ripete. Ghedini raccomanda una «vigilanza stretta sul comportamento di Salvini». Bernini e Gelmini riferiscono che «dai nostri parlamentari viene la richiesta di non farci umiliare». Si valuta l'appoggio esterno ad un governo Lega-M5s e viene scartato. «O il governo si fa con tutte le forze del centrodestra alla pari o andremo all'opposizione, vera». Respinta anche l'ipotesi del governo di tutti, l'ammucchiata istituzionale.

Prevale ancora la fiducia nel leader del Carroccio: per calcolo e opportunità, se non per convinzione, non cederà a Di Maio. Lui e Giorgia Meloni giurano che non andranno mai da soli. Certo, a Matteo va forzata la mano. Ed è quello che avviene nel vertice a tre prima della salita al Quirinale.

Il comunicato contiene tutti i punti fermi che Berlusconi vuole mettere, per esaltare il ruolo suo e di Fi: il no a «veti, tatticismi, pregiudiziali», la responsabilità «unitaria» della coalizione ad un governo, che sia «credibile in Europa e nel mondo», lo «spirito di Pratica di mare», il richiamo a tutte le forze «responsabili» (leggi: Pd) e all'«arroganza dei singoli» (Di Maio). Con Salvini e Meloni si discute anche vivacemente sul testo, il primo cerca di ammorbidire qualche frase, ma alla fine sposta giusto un po' di aggettivi e di virgole.

Il Cav la spunta. Poi, al Colle, chiede larvatamente a Mattarella un intervento contro gli attacchi di una forza politica (il M5s) per delegittimarne un'altra (Fi), scelta da 5 milioni di italiani. Il presidente annuisce, ma tace. E all'uscita Berlusconi ruba la scena a Salvini con la nota in mano, prima sottolineando la discussione fatta «sulle singole parole» poi, clamorosamente, con la frase anti-5S. L'ira di Salvini (e della Meloni) la esprimono Centinaio e Giorgetti: «Battutaccia inopportuna. I veti non ci piacciono. Non era condiviso un no al dialogo con il M5s».

Eppure, appena fuori dalla portata del Cav, Salvini un veto lo ribadisce: quello al Pd, che non ha potuto pronunciare al Quirinale.

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