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Beffa sulle valvole cardiache: lo Stato chiede soldi alla vittima

Dopo la condanna per l'ospedale di Padova è arrivata la prescrizione. E adesso il Fisco vuole indietro 100mila euro

Beffa sulle valvole cardiache: lo Stato chiede soldi alla vittima

C'è un mix del baratro italico in questa vicenda. Si prenda una giustizia che funziona a corrente alternata, tra black out, cortocircuiti e strane interpretazioni leguleie; una burocrazia tanto soffocante quanto ottusa e infinita; si aggiunga uno Stato vampiresco oltre a una sanità che non può nemmeno più definirsi tale. Eccolo qui, servito, uno dei tanti, troppi, cocktail avvelenati. Ciò che ciascuno di noi potrebbe un giorno dover ingurgitare.

Margherita Sambin è finita nel girone infernale della nostra dannata amministrazione all'ora di pranzo di qualche giorno fa. Con una lettera, una missiva contenuta in una di quelle buste che fanno tremare non appena il postino le consegna. Raccomandata, mittente Agenzia delle Entrate. Insomma una cartella esattoriale che nella fattispecie suona come una beffa crudele. Scandalosa. Lo Stato, questo Stato elefantiaco, spesso immemore ma spietato coi propri «sudditi» le stava chiedendo indietro i soldi pagati per un lutto impagabile.

Una storia cominciata, anzi un lutto antico quindici anni. Margherita perse suo marito, Antonio Benvegnù, appena tre giorni dopo la dimissioni dall'ospedale. Colpa di una valvola cardiaca difettosa, non l'unica come dimostrarono le indagini dei carabinieri. Le produceva un'azienda brasiliana, evaporata nel nulla, poco dopo la prima conta delle sue vittime.

I giudici stabilirono che l'Azienda ospedaliera di Padova - la struttura sanitaria che aveva acquistato con trattativa privata e poi utilizzato una trentina di quelle protesi a rischio ma rifiutate da altri ospedali veneti - le dovesse un risarcimento. Oggi il Fisco reclama la restituzione dell'anticipo versato: 100mila euro da saldare entro 60 giorni.

Questione di cavilli, di spazi temporali che si dilatano in buchi neri, di norme folli, quasi assassine.

Lo racconta bene il Mattino di Padova. Gli inquirenti avevano dimostrato che quei dispositivi medici provenienti dal Brasile erano tutt'altro che perfetti e che per imporne l'uso sanitario il distributore italiano, Vittorio Sartori, avesse offerto tangenti ai medici. Il processo vide la sentenza di condanna per omicidio colposo, lesioni e corruzione del primario Casarotto (cinque anni e quattro mesi). L'Azienda sanitaria Gallucci dovette risarcire la vedova. Ma in secondo grado e in Cassazione la vicenda finì in prescrizione. Unica chiamata a rispondere per quel decesso, rimase l'azienda carioca che produceva le valvole difettose. Ma quella società non esiste più, nel frattempo cancellate le condanne al primario e alla Gallucci.

«Vivo di una pensione di reversibilità di mille e 10 euro al mese - racconta quasi in lacrime Zambi - E arrotondo con piccoli lavori di ricamo o facendo la baby sitter. Ho una Clio da 16 anni, malandata come il frigorifero di casa. Con questa tegola in testa, non potrò neanche fare un finanziamento per comprarmi un elettrodomestico a rate. Non trovo giusto essere stata messa in croce a 69 anni. È assurdo, disumano».

Per la cronaca, quel denaro lo aveva usato per finire di pagarsi il mutuo di casa a Mandriola di Albignasego.

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