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Berlino vuole rimettere la camicia di forza alla Ue

I falchi del rigore ostacolano la ripresa. Ma anche Roma ha sbagliato sul debito

Berlino vuole rimettere la camicia di forza alla Ue

Attenti ai falchi del Nord, possono fare più danni degli indisciplinati meridionali. La sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che mette di nuovo sotto accusa il Quantitative easing della Banca centrale europea, ha se non altro un merito, quello di riportare all'attenzione pubblica la minaccia rappresentata dall'ortodossia monetaria tedesca.

A rendere più fragile la ripresa europea, che pare finalmente esprimersi con chiarezza nelle statistiche, sono due pericoli. Il primo siamo noi italiani. O meglio l'inconcludenza e la malavoglia con cui ci dedichiamo a quella che dovremmo vivere come una priorità assoluta: rimettere in sesto i fondamentali di un sistema-Paese da decenni sbilenco e traballante. L'altra fonte di potenziali danni nasce invece direttamente a settentrione delle Alpi. Imprigionata da schemi di economia politica incomprensibile non solo a noi mediterranei, ma anche a tutto il mondo anglo-sassone, la classe dirigente tedesca, o almeno gran parte di essa, si è rivelata un ostacolo non da poco sulla strada del dopo crisi.

Nel 2012, mentre Mario Draghi poneva le basi di un percorso che si è dimostrato corretto, Thilo Sarrazin, uno dei più illustri rappresentanti del partito delle «virtù tedesche», tuonava sicuro contro il rischio incombente di una spirale inflazionistica scatenata dalla politica accomodante della Bce: «Se entro qualche anno non saremo travolti da un insostenibile aumento dei prezzi sono pronto a restituire la mia laurea in Economia». L'inflazione non c'è stata, non c'è e non si intravede nemmeno all'orizzonte. Ma Thilo Sarrazin non ha restituito la laurea, resta un guru rispettato e i suoi libri sono sempre tra i più venduti in Germania. In compenso Draghi, dal primo giorno del suo mandato, nel novembre del 2011, ha dovuto fare i conti con il marcamento a uomo dei rigoristi interni capeggiati dal numero uno della Bundesbank Jens Weidmann, con le pressioni esterne di un'opinione pubblica tedesca sempre più preoccupata, e perfino con le denunce di fronte alla Corte Costituzionale.

L'obiettivo era quello di legare le mani all'italiano di Francoforte, costringendo l'azione della Banca centrale in una «camicia di forza» culturale omologata al pensiero tedesco. Per valutare diversamente le cose sarebbe bastato che a Berlino qualcuno guardasse Washington e alla Fed. Libera da freni la banca centrale Usa è intervenuta con ben maggiore tempestività e decisione rispetto alla Bce inondando di denaro l'economia. È il simbolo di un approccio pragmatico contrapposto al dogmatismo che prevale nel Nord Europa. Lo stesso dogmatismo che ha spinto i tedeschi a inserire l'obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione Dal punto di vista economico è un controsenso, visto che elimina la valenza anti-ciclica della spesa pubblica. Ma per non peccare facendo debiti i tedeschi si sono privati della possibilità di utilizzare la medicina keynesiana anche in tempi difficili. Purtroppo l'Italia di pillole a base di spesa pubblica ne ha prese troppe.

E anche per questo fa fatica a far sentire le sue ragioni.

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