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Il "Berlusconi argentino" guida la riscossa della destra sudamericana

Mauricio Macri favorito nel ballottaggio a Buenos Aires Ma tutto un continente è ormai stanco di una sinistra corrotta

Il "Berlusconi argentino" guida la riscossa della destra sudamericana

Domenica 25 ottobre, in un futuro non troppo lontano questa data sarà ricordata come l'inizio della fine della sinistra populista che da oltre un decennio domina l'America Latina.

In Colombia, dove si votava per le amministrative, la seconda carica più importante dopo la presidenza, quella di sindaco di Bogotá, è stata strappata alla sinistra da Enrique Peñalosa, candidato del centro-destra. In Guatemala un comico, Jimmy Morales, grazie allo slogan «lotta dura contro la corruzione» - per la cronaca l'ultimo presidente, Pérez Molina, è in carcere per tangenti – ha addirittura doppiato la socialdemocratica Sandra Torres. Il principale artefice della «riscossa» delle idee liberali sul populismo socialista latinoamericano è, però, un 56enne ingegnere argentino, Mauricio Macri. Già presidente della squadra di calcio Boca Junior, è un imprenditore prestato alla politica intesa, come lui ama ripetere, come «servizio per la comunità e non strumento per trarre vantaggi indebiti». Nonostante le sue scarse doti da tanguero , quando nella notte di domenica scorsa è stato ormai chiaro che la sua coalizione di centro-destra, «Cambiemos», aveva conquistato la provincia di Buenos Aires - la più importante con il 35% dell'elettorato di tutta l'Argentina - e che lui era il favorito nella corsa per la presidenza, Mauricio ha cominciato a ballare. Duro come un manico di scopa, ma ha sgambettato per 5 minuti buoni. Molti ridevano, alcuni piangevano commossi mentre in strada si sono persino sentite sbattere pentole, una volta tanto non per protesta ma per far festa. Una sorpresa storica, un colpo al cuore per la sinistra sudamericana che, dal presidente boliviano Evo Morales all'ex líder máximo brasiliano Lula - per la cronaca ieri a San Paolo la Polizia ha perquisito l'ufficio di uno dei suoi figli per presunte tangenti - era accorsa in pellegrinaggio nei giorni scorsi a Buenos Aires per aiutare Daniel Scioli, il debole candidato scelto dalla presidente uscente Cristina Kirchner senza primarie, un grave errore a detta di molti. Nonostante le truppe cammellate della sinistra accorse in suo soccorso ed i sondaggi della vigilia che davano Scioli vincente con almeno il 40% dei voti ed oltre il 10% di vantaggio su Macri, è la prima volta nella storia dell'Argentina che sarà necessario un ballottaggio (il prossimo 22 novembre) per scegliere chi guiderà il Paese sino al 2019. Scioli non è infatti andato oltre al 36% dei suffragi, contro il 34% di Macri.

Una differenza minima, di appena 600mila voti, che sarà facilmente colmata dalla più ovvia delle alleanze, quella tra Macri e Sergio Massa, un ex kirchnerista deluso che domenica, classificandosi terzo, ha ottenuto 5 milioni di voti facendo di «sicurezza» e «lotta al narcotraffico» le sue bandiere. Due temi molto cari anche al «Berlusconi d'Argentina» Macri. L'aver conquistato tutto con il Boca nei suoi anni di presidenza e la rapida carriera politica hanno fatto, infatti, guadagnare al timido e pio Mauricio questo soprannome. In realtà non si tratta di un self made man alla Silvio - il genio di famiglia Macri negli affari era il padre - né possiede l'empatia con il popolo del Berlusconi dei tempi d'oro, ma ha due vantaggi dalla sua rispetto al nostro: l'anagrafe ed un elettorato argentino stanco di 12 anni di kirchnerismo, una versione peronista in salsa bolivariana inventata da Néstor e mal gestita da Cristina Kirchner.

La maggioranza degli argentini è esasperata dall'inflazione che erode il potere d'acquisto dei suoi salari e da una presidente che quest'anno ha già interrotto una cinquantina di volte i programmi di tutte le tv per disquisire a reti unificate dei suoi viaggi, di suo figlio Máximo o per inaugurare opere pubbliche in realtà non terminate.

Anche per questo Macri ha già vinto.

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