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Berlusconi avvisa gli alleati: niente voto, serve stabilità

Vertice di due ore a palazzo Grazioli. Il leader di Fi: unità sui presidenti delle Camere. Delegazioni separate al Quirinale

Berlusconi avvisa gli alleati: niente voto, serve stabilità

Per la prima volta Silvio Berlusconi entra ad un vertice del centrodestra come numero 2, ma difende con i denti la possibilità di rimanerne garante e mediatore. Facendo valere, con Matteo Salvini, la quota «determinante» di Forza Italia nella vittoria della coalizione il 4 marzo, malgrado il sorpasso della Lega con il suo 17%.

È un vertice ristretto ai tre leader, quello a palazzo Grazioli, il primo dopo il voto del 4 marzo. Con Berlusconi, Salvini e Giorgia Meloni solo i più stretti collaboratori: Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli (Fi), Giancarlo Giorgetti (Lega), Ignazio La Russa (Fdi).

Passano quasi 2 ore, mangiando cous cous, ma alla fine la riunione viene definita «interlocutoria». Insomma, nulla di fatto. Il leader azzurro cerca di convincere gli altri che non si può tornare al voto, ripete che all'Italia «serve stabilità», insiste perché si parli con una voce sola e si accolgano gli appelli del Quirinale a cercare un accordo. Vuole arginare Salvini, che si presenta come il vero trionfatore, vuole gestire le trattative per un futuro governo a trazione leghista e prima ancora quelle per le presidenze delle Camere (e secondo fonti del Carroccio, su questo avrebbe avuto il via libera da Berlusconi e dalla Meloni). Con il M5S, si teme. Ma Salvini non promette nulla. Al Quirinale, si andrà in delegazioni separate.

Almeno su una cosa con Berlusconi concorda FdI. «Valiamo solo in quanto restiamo uniti - dice, prima dell'incontro, il coordinatore Guido Crosetto-. Il centrodestra in Parlamento ha il 42% dei seggi».

«Lealtà» è una delle parole chiave del difficile summit. La tensione è alta e il voto il 23 marzo dei vertici del Parlamento sarà il banco di prova per la tenuta del centrodestra, là potrà dimostrare che non sono possibili accordi che l'escludano. E si vedrà chi rimarrà fedele al patto di coalizione e chi inseguirà successi personali.

La partita, per il Cavaliere, dev'essere legata ad uno schema di governo, ecco perché invoca «responsabilità» e guarda al Pd. Se la Lega sembra aperta a spartirsi le due presidenze con il M5S, Fi vorrebbe che andassero una ad un azzurro e una ad un leghista, o che Salvini rinunciasse alla sua, in vista di un incarico a lui o a uno dei suoi per Palazzo Chigi. C'è chi punta su Giorgetti, come figura di compromesso per raccogliere voti, anche se il Pd sembra orientato ad un soccorso solo ad un governo di scopo. Ai dem per Fi si potrebbe lasciare la presidenza della Camera, ottenendo i voti per eleggere a Palazzo Madama Paolo Romani. In vista di un possibile sostegno esterno al governo di centrodestra. Però, Salvini dice di non potersi alleare con la sinistra che ha «malgovernato» negli ultimi anni, che se ci sarà un premier di centrodestra sarà lui, che non accetterà un governissimo e che si può modificare la legge elettorale e il voto non fa paura. Frasi che lo accostano, pericolosamente, a Luigi Di Maio. Anche se lui smentisce contatti con il M5s e Romani [uno dei più dialoganti in Fi con la Lega)dice di credergli. «Non c'è nessun accordo, tutte invenzioni della stampa», assicura.

Il confronto tra i leader è delicato anche sull'Europa, dopo l'allarmante show a Strasburgo di Salvini. Al Cav non è piaciuto, è perplesso sull'annuncio di voler rinegoziare i trattati europei. Lui che si è esposto a Bruxelles e con il Ppe come garante dell'europeismo della coalizione, cerca di convincere Salvini ad evitare uno strappo, soprattutto sul tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil. Non rispettare i patti dev'essere l'ultima chance, non va sbandierata così, allarmando vertici Ue e mercati. E poi c'è da fare una proposta del Def del centrodestra.

Insomma, come dice Crosetto, «non si può dare l'impressione di sciogliersi come neve al sole dopo il voto».

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