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Berlusconi gela Toti: "È un nominatissimo"

Il Cav apre la "fase due" azzurra e guarda all'asse con la Lega. Il governatore ai margini

Berlusconi gela Toti: "È un nominatissimo"

È la fase due di Forza Italia, a 25 anni dalla sua nascita. Meno verticistica, con più democrazia interna, più allargata alla base con l'elezione diretta di coordinatori nazionali e regionali, forse anche con le primarie. Silvio Berlusconi annuncia al comitato di presidenza che molto cambierà, venendo incontro al pressing di tanti azzurri. Cerca anche di disinnescare la bomba Giovanni Toti, ma basterà a evitare la scissione che sembra vicina? Sembra difficile, perché il governatore della Liguria diserta la riunione in cui sostanzialmente le sue principali richieste vengono accolte e prima che inizi lancia dalla radio un avviso di rottura, che alle orecchie del leader suona offensivo. «In tutta franchezza - dice a Un giorno da Pecora su Rai Radio 1 - penso che il presidente Berlusconi abbia un ruolo, uno status, uno standing diverso dal candidato delle primarie. Ho sempre detto che è il fondatore del centrodestra». E ci va giù duro: «Deve rendersi conto che un'epoca è finita, oggi deve cominciare a pensare a come lascerà il suo partito a questo Paese, come fanno i grandi statisti». Parla anche del nome di Fi su cui ragionare, «d'altronde, anche Berlusconi voleva cambiarlo». Ma per ora il problema non è all'ordine del giorno, l'alternativa che circola è solo L'Altra Italia. Gli chiedono se si presenterebbe a primarie per segretario e lui: «Mi candiderei, con le mie idee».

Un requiem brutale che non può non irritare il Cavaliere che, a fine riunione, dice di Toti: «L'ho nominato io e chiede la democrazia un nominatissimo?».

Il clima, fra i due, ricorda l'ultimo scontro tra Berlusconi e Gianfranco Fini, con il suo «Che fai, mi cacci?». Solo che qui il leader ha pazientato molto, con i suoi fedelissimi ha cercato di ricucire fino al punto di valutare se andare alla manifestazione frondista di Toti del 6 luglio, l'ha invitato anche all'incontro di ieri. E l'altro, invece, ormai si scopre determinato a portare la sua scialuppa di transfughi verso i lidi di Lega e Fdi. In fondo, l'annuncio della rivoluzione in casa azzurra forse mirava proprio a questo, a scoprire le mire di Toti e togliergli ogni alibi. Ora che il rinnovamento che chiedeva è in atto, il governatore dovrebbe partecipare al Consiglio nazionale del 25 giugno, che approverà le modifiche dello statuto per consentire le elezioni interne. Se non lo farà, come sembra probabile, sarà fuori. Da traditore.

Il clima dentro Fi sembra sospeso, le liti tra ala nordista e sudista accantonate, tutto concentrato sulla nuova stagione di una forza che vuole rinascere e riguadagnare consenso, ma deve capire se Matteo Salvini accoglierà la proposta di federazione del Cav o vorrà correre da solo o solo con Fdi alle elezioni ormai vicine.

All'intervento del capo non c'è che plauso, solo quando parla delle ipotesi sul tavolo, partito unico o alleanza a più identità, Brunetta e Romani intervengono per ribadire il no ad un Pdl 2.0. Il vice Antonio Tajani, reduce dal summit Ppe in Spagna, spiega il quadro incerto di alleanze e nomine in Europa, con il governo italiano isolato. La Carfagna, di cui si parla tra i 3 o 5 coordinatori nazionali (per Toti ha le sue chance), è defilata e a metà riunione va via per un impegno. Schifani ha già chiarito che l'opposizione al governo dev'essere «a tutto campo, senza distinzioni tra M5S e Lega, perché così si è arrivati all'8 %». Le capogruppo Gelmini e Bernini sono soddisfatte, perché la nuova linea politica forte nel centrodestra, si traccerà ascoltando i gruppi parlamentari.

«Fi è pronta ad affrontare con determinazione la sfida del cambiamento».

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