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Berlusconi non ci sta: "Solo un libro dei sogni". Ma mantiene l'alleanza

Ronzulli punge i leghisti: "Noi restiamo nel centrodestra, voi? Spero sia una parentesi..."

Berlusconi non ci sta: "Solo un libro dei sogni". Ma mantiene l'alleanza

I 61 senatori azzurri dicono no al governo Conte. Sono compatti, anche se alla sinistra del premier siede l'alleato Matteo Salvini. Sono compatti, perché alla destra del professore, c'è Luigi Di Maio. «E quello era il posto nostro, del resto del centrodestra che ha vinto nelle urne», commenta un esponente di Forza Italia.
Silvio Berlusconi ascolta Giuseppe Conte presentare il suo programma sul treno diretto a Roma. Rimane colpito dall'«inconsistenza e dalla genericità del discorso dei sogni», raccontano i suoi. A Palazzo Grazioli fa il punto con i suoi consiglieri, sempre più convinto che la scelta dell'opposizione sia quella giusta. Però, con Salvini l'accordo rimane, nel tentativo di tenere unita la coalizione. L'incontro del giorno prima, spiega il portavoce Giorgio Mulè, era «tra amici, si parlano, si confrontano, certe volte hanno opinioni diverse, ma partono dal rispetto reciproco, dall'idea del programma del centrodestra da difendere».
È Licia Ronzulli, la fedelissima del Cavaliere, che a Palazzo Madama lancia l'avvertimento al Carroccio. Dice che l'esecutivo gialloverde è «l'eccezione e l'anomalia, ha intenti politici, ma per metà è di tecnici», con «un altro premier non eletto dagli italiani». Soprattutto, non esprime «una maggioranza scelta da italiani, quella che ha vinto le elezioni». Di fronte a lei, il vicepremier e ministro Salvini e il sottosegretario Giorgetti l'ascoltano mentre si augura che sia «una parentesi». Sorridono, un po' ammiccanti, quando la Ronzulli si rivolge agli alleati e «amici» della Lega, chiamandoli per nome. E arriva la stoccata. «Caro Matteo, caro Giancarlo, oggi imboccate una strada rischiosa e siamo certi che il tempo sarà galantuomo, perché abbiamo sempre combattuto dalla stessa parte. Nel frattempo, governeremo città e Regioni che ci vedono insieme. Vi auguriamo di trovare la stessa correttezza e generosità che Berlusconi ha garantito a voi. Fi rimarrà interprete dei valori propri del centrodestra». Dai banchi di Fi si alza l'applauso, il sorriso appassisce sui volti di Salvini e Giorgetti.
Questo centrodestra diviso, metà di governo e metà di opposizione, con i 18 di FdI che però si astengono alla fiducia, è uno strano gioco di equilibrismo. «Dal discorso di Conte - dice Giorgia Meloni- nessuna chiarezza sulle priorità del governo. Non votiamo la fiducia, ma valuteremo nel merito i provvedimenti e se saranno buoni li sosterremo».
In Aula, la presidente del Senato Elisabetta Casellati usa il pugno di ferro per frenare grillini e leghisti, all'ennesima standing ovation per Conte, ricordando che «non è ammesso il tifo da stadio». Il suo predecessore, Renato Schifani, definisce il capo del governo «un premier inter pares e non un primus inter pares, come prevede la Costituzione». La capogruppo di Fi Anna Maria Bernini vede nel suo discorso, «un dosaggio luogo-comunista, pieno di contraddizioni, impegni verbali e slogan, nessun impegno di bilancio per un governo Arlecchino».
Nella sala Italia, dove i senatori si riversano nella buvette per un caffè, Paolo Romani spiega che di Conte l'hanno colpito le «venature autoritarie e giustizialiste, unite al tono professorale, mentre dice contrasteremo il business degli immigrati ma non spiega come e non c'è nulla sullo sviluppo e sul Mezzogiorno». Di questo sta parlando in Aula il coordinatore pugliese di Fi, Luigi Vitali, che rimprovera il conterraneo foggiano Conte: «Siamo delusi che lei, da uomo del Sud, non abbia dedicato neppure una riga del suo discorso programmatico al Sud».

Un altro motivo per votare no, anche oggi alla Camera.

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