Politica

"Bettino si opporrebbe ai grillini. Sono ancora in campo per lui"

"Craxi fu un vero statista. Il mio successo di Pratica di Mare? Sulla scia delle sue politiche. Pagò a caro prezzo il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati"

"Bettino si opporrebbe ai grillini. Sono ancora in campo per lui"

La prima considerazione che suscita la lettura di questo libro riguarda la statura politica, intellettuale e morale di Bettino Craxi: se ve ne fosse bisogno, queste pagine dimostrano che il leader socialista è uno dei pochissimi politici italiani del dopoguerra che meritano davvero la definizione di «statisti». Prima di lui, solo De Gasperi merita davvero questo titolo.

Secondo una nota definizione usata proprio da De Gasperi, il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista guarda alle prossime generazioni. Negli scritti di Bettino (lo chiamo così, come ho sempre fatto negli anni di una lunga e cordiale amicizia) ci sono un respiro, una visione, una capacità di guardare al futuro, di anticipare le grandi linee della politica mondiale, che li rendono di sorprendente attualità.

Le sue riflessioni sul cattivo europeismo, sui problemi legati alla nascita della moneta unica, sulla stabilità del Nord Africa, sulla necessità di favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri per evitare l'esplodere di tensioni planetarie, sono tutti argomenti che hanno trovato drammatiche conferme negli anni successivi alla sua scomparsa.

Non c'è bisogno di essere d'accordo su tutto, per apprezzare la lucidità e la profondità della sua visione.

Io per esempio ho un'opinione più favorevole della sua su Israele, per quanto riguarda il conflitto con i palestinesi, e do un giudizio più convintamente positivo dell'amministrazione Reagan e del suo atteggiamento verso l'Unione Sovietica.

Ma questi aspetti, per quanto importanti, nulla tolgono alla rilevanza complessiva di una visione politica, diplomatica, storica che copre gli ultimi tre decisivi decenni del 20° secolo.

Bettino credeva molto nell'Italia, era un patriota sincero, voleva un'Italia protagonista, e in questo senso segnò una svolta rispetto al passato: i governi democristiani del passato di fatto avevano totalmente delegato la politica estera e di difesa all'Alleanza Atlantica, erano poco interessati alle questioni internazionali e scettici sulla possibilità per l'Italia di esercitare un suo ruolo. Emblematiche le parole di Kissinger: il segretario di Stato americano nelle sue memorie scrive che quando incontrava i governanti italiani e parlava con loro dei grandi temi della politica mondiale, a volte aveva l'impressione che faticassero a rimanere svegli, e comunque erano ansiosi di ritornare alle predilette guerre di corrente nella Democrazia Cristiana.

Craxi era il contrario: credeva nella possibilità dell'Italia di essere protagonista. Memorabile la fermezza con la quale costrinse a riammettere il nostro Paese nel G7.

Era leale e fedele all'Alleanza Atlantica, ma credeva in un ruolo diretto dell'Italia anche nel dialogo Est-Ovest. Probabilmente i tempi non erano maturi, ma lo spirito con il quale - molti anni dopo - fu proprio l'Italia con il mio governo a realizzare l'accordo di Pratica di Mare, era già nelle sue iniziative. La Russia con Gorbaciov stava cambiando e Craxi colse le possibilità per l'Italia di favorire un dialogo, allontanando l'incubo della guerra fredda. Nonostante questo non ebbe esitazioni a schierarsi con l'Occidente per esempio quando si trattò di installare i cosiddetti euromissili (missili nucleari «tattici», per rispondere all'installazione da parte sovietica di un sistema d'arma analogo).

Craxi intuì anche la necessità di uno stretto rapporto con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, e in nome di questo si oppose agli attacchi americani alla Libia. Non aveva torto, e i fatti lo hanno dimostrato. Le cosiddette «primavere arabe» sono state un clamoroso fallimento e in Libia in particolare, dopo che noi eravamo riusciti a realizzare un rapporto più costruttivo con il governo di Gheddafi, la sommossa sostenuta da alcuni Paesi Europei e dagli Usa di Obama ha determinato l'attuale sanguinosa confusione, che moltiplica il dramma dei migranti.

In modo più indiretto, anche la sua visione della cancellazione dei debiti dei Paesi poveri potrebbe essere un aspetto di quel «piano Marshall per l'Africa» al quale, ne sono sempre più convinto, sono affidate le nostre residue speranze di stabilizzare una situazione esplosiva per l'Africa stessa, ma anche per l'Europa e l'Occidente.

La politica estera è importante, perché definisce la visione di un leader, il suo approccio ai grandi temi mondiali, che Bettino visse da protagonista non solo come leader italiano, ma anche come consigliere personale del Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Ma naturalmente non è l'unico aspetto che dimostra la statura di Craxi.

Capì per primo la necessità di sbloccare il sistema politico e di andare verso una democrazia dell'alternanza e di un moderno bipolarismo, che sarebbe stato impossibile fino a quando il Pci, legato all'Unione Sovietica, avesse mantenuto un ruolo così importante. Craxi guardava al modello Mitterand: la sinistra può governare dove i socialisti sono forti e i comunisti sono deboli. Questa è stata la battaglia della sua vita, e appena ha potuto il Partito Comunista gliel'ha fatta pagare a caro prezzo.

Così come a caro prezzo pagò il referendum sulla responsabilità civile dei giudici: fu un grande successo del sì, nonostante a favore fra le forze politiche si fossero espressi con decisione soltanto i socialisti, i radicali e i liberali. Pochi anni dopo, la magistratura dimostrò di avere la memoria lunga, e di sapersi vendicare.

Ebbe il coraggio di sfidare la sinistra e i sindacati anche in occasione del referendum sull'abolizione della scala mobile. Era un provvedimento del suo governo, che difese con tenacia e dal quale non arretrò a costo di andare a un referendum, che vinse clamorosamente, contro il Pci e la Cgil. Fu anzi quella vittoria a consacrarlo come dominus della politica italiana per gli anni a venire.

Sono queste alcune delle ragioni per le quali Bettino Craxi è mancato non solo a me personalmente come amico, ma alla politica italiana nel suo insieme. È mancata una sinistra liberale, riformista, occidentale, moderna, quella incarnata negli altri Paesi da Tony Blair in Gran Bretagna o da Gerhard Schröder in Germania.

In fondo, è stato proprio il venir meno di Craxi, che in quegli anni rappresentava un punto di equilibrio, una garanzia di libertà e di modernità, di certezza del diritto, di legame dell'Italia con l'Occidente, a costringermi a scendere in campo.

Non si trovavano sostituti alla classe politica spazzata via da Mani Pulite, in questo senso l'ex Pci aveva compiuto un vero capolavoro. Grazie anche a una legge elettorale su misura, il potere stava per cadere nelle loro mani per mancanza di avversari. Il mondo riformatore, liberale e anche quello cattolico, non riusciva né a riunirsi, né ad esprimere nuovi leader all'altezza. Craxi lo sarebbe stato, se non fosse stato eliminato da un'azione giudiziaria molto simile ad un colpo di Stato, il primo dei cinque che hanno turbato la politica italiana nell'ultimo quarto di secolo.

Oggi molti dei temi indicati da Bettino, in politica estera e non solo, rimangono di drammatica attualità.

Solo che l'Italia è nelle mani di una forza politica ancora più pericolosa del Pds di Occhetto. Oggi sono al governo del Paese non soltanto ideologie di sinistra vecchie e rozze, assistenziali e stataliste, che riportano agli anni '70, non soltanto un rozzo e feroce giustizialismo, ma anche una totale incompetenza e inesperienza, che rende chi ci governa ancora più pericoloso. Anche per questo ci manca un Craxi in grado di contrastarli. Ed anche per questo sono costretto ad essere ancora in campo, per salvare l'Italia e dare un futuro al Paese che amo.

Lo devo anche alla memoria di Bettino e di quanti come lui hanno lottato per un'Italia diversa e migliore da quella che avremmo di fronte se lasciassimo ai grillini il futuro del nostro Paese.

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