Cronache

«Quella biblioteca era una piazza di spaccio»

Racconto choc della direttrice della biblioteca dell'università di Bologna: «Far West tra violenza, droga, siringhe, furti e minacce»

«Quella biblioteca era una piazza di spaccio»

Ci sono dei giovani fantasmi che si aggirano attorno all'Università di Bologna. Sono ragazzi che vorrebbero montare sulla macchina del tempo per fiondarsi nell'anno '68, quando la contestazione studentesca era una cosa drammaticamente «seria». Invece devono accontentarsi di vivere ai nostri giorni, illudendosi di ripetere quelle «mitiche» (almeno per Mario Capanna) lotte.

Ma, come diceva Marx, la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Ma anche le farse, a volte, possono (ri)trasformarsi in tragedie. E per questo bene ha fatto giovedì scorso il rettore dell'Alma Mater a chiedere l'intervento della polizia per sgomberare la biblioteca della facoltà di Lettera da un manipolo di studenti (?) antagonisti che l'aveva trasformata in un Far West senza legge, eccetto quella della prepotenza. A parlare di «Far West» non sono i «fascisti» nemici dei «comunisti» del Cua (Collettivo universitario autonomo) che quel «Far West» sono accusati di averlo creato, bensì una integerrima funzionaria statale, Mirella Mazzucchi, che da anni è la responsabile della biblioteca dello «scandalo» in via Zamboni 36.

«Non capivamo le ragioni dei cassoni dello scarico sempre rotti, poi abbiamo trovato le graffette con le dosi e abbiamo capito» ha raccontato Mazzucchi a vari organi di informazione. Una situazione di degrado che si trascina da tempo: «Dal 2012 la nostra biblioteca si era trasformato in una piazza Verdi riscaldata (piazza Verdi è il tradizionale luogo d'incontro dei collettivi ndr). Ho ricevuto due minacce negli ultimi mesi, una volta perché era stata sorpresa una ladra con le mani nella borsa di una ragazza. I furti qui sono frequenti, l'ultimo di 1300 euro risale a poche settimane fa». E poi: «Abbiamo trovato bustine di droga nelle cassette dei bagni e siringhe per terra. Non ci sentiamo al sicuro e anche gli studenti hanno più volte chiesto di porre rimedio alla situazione». Insomma, la riprova che il problema della sicurezza è stato ala base della scelta di istallare i famigerati tornelli della discordia che, dopo essere stati divelti da quelli del Cus, hanno reso inevitabile il blitz della polizia; da quell'episodio sono scaturiti una serie di scontri tra giovani e forze dell'ordine che da giorni stanno infiammando Bologna. Ma gli studenti dell'aeneo hanno isolato del tutto i collettivi, schierandosi sulla linea della legalità voluta dal rettore: oltre 5 mila firme sono state raccolte in difesa dell'intervento della polizia che ha liberato la struttura di via Zamboni 36. Che però resta chiusa a oltranza, considerati gli ingenti danni provocati dai rivoltosi.

«La biblioteca è devastata, ma il danno maggiore è per tutti noi che ci lavoriamo e per tutti gli utenti ai quali è stato sottratto un luogo di studi», testimonia Mazzucchi. E la delusione è tangibile anche tra numerosissimi studenti: «Un gruppo di esterni molto politicizzato aveva trasformato questo luogo in un centro sociale, stravolgendo completamente la funzione culturale della biblioteca - ci dice Laura, terzo anno della facoltà di Lettere -. Qui ormai si mangiava, si beveva birra, si sentiva musica ad alto volume, si dormiva, si portavano addirittura i cani. Per non parlare dei furti, delle intimidazioni, dei vandalismi e della droga. Gli accessi controllati dovevano servire a ristabilire un minimo di sicurezza e normalità. Ma le cose, alla fine, sono andate come tutti hanno visto: tornelli divelti, porte sfondate, cariche della polizia e biblioteca chiusa per inagibilità

Intanto fuori le cariche della polizia continuano e il Cua annuncia: «Zamboni 36, parola d'ordine: sabotaggio sempre». Il futuro è nero.

Anzi, rosso.

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