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La Boldrini soffia sul fuoco: "Senza ius soli ci sarà rabbia"

Invasione della presidente della Camera sui migranti: "Integrazione oppure alimentiamo il risentimento"

La Boldrini soffia sul fuoco: "Senza ius soli ci sarà rabbia"

Una cerimonia del Ventaglio con la presidente della Camera Laura Boldrini, meglio cavarsi subito il dente, dà gli stessi sgradevoli brividelli di una vendita di frigoriferi usati al Circolo polare artico. Inutile il «ventaglio», fasulli gli auguri che si scambiano tra chi lavora a Montecitorio, scontatissima la materia prima. Potrebbe intervenire un benefico torpore letale, se la protagonista non usasse improvvisamente alzare la voce su alcune parole che dovrebbero rafforzare il concetto, tradendo così il carattere intollerante che viene tenuto a freno dalla rigida cordialità. Ne sanno qualcosa i grillini e altri esponenti delle minoranze, durante i momenti più convulsi della sua presidenza, ieri arrivata fortunatamente all'ultimo ventaglio in regalo. «In questi quattro anni e mezzo - le sue frasi di congedo -, ho fatto campagna elettorale solo per il Parlamento. A differenza dei miei predecessori non ho mai svolto politica di partito. Ho tentato di essere giusta e di svolgere il mio ruolo con terzietà».

Peccato che abbia cominciato adesso che occorre trovare un modo per ritornarci, a Montecitorio. In quale veste, lo si vedrà. In quale lista lo si può immaginare, vista la sua presenza in piazza con Pisapia, ma con qualche dubbio, considerati i buoni rapporti intrattenuti con il Pd renziano. E ieri ci ha tenuto a far sapere di essere con Renzi sullo ius soli. Forse l'ultima a crederci, assieme al segretario del Pd e al leader di Si, Fratoianni, che fuori tempo massimo ha proposto una «fiducia di scopo» sulla legge (subito rifiutata dal Pd). «Mi auguro che venga approvato entro la fine di questa legislatura perché è giusto e necessario. Rimandarlo sarebbe un torto. Che, come tutti i torti, non porta bene».

Faremo i debiti scongiuri. Anche perché, come sanno bene al Quirinale e (anche) a Palazzo Chigi, la legge difficilmente vedrà la luce in questa XVII (dunque già sfigatissima) legislatura. Strana la minaccia, e persino ingenua la filippica che la sostiene. «La cittadinanza che cos'è, se non lo strumento principe per l'integrazione? Impedire a chi nasce in un paese di essere cittadino è impedire l'integrazione che è strumento di sicurezza. Senza dare a queste persone la possibilità di sentirsi parte di una società, alimentiamo rabbia, risentimento, senso di esclusione. Guai a chi dovesse informare la Boldrini che molti (quasi tutti) attentatori che hanno flagellato l'Europa in questi anni avevano in tasca la cittadinanza di paesi Ue. Senza che questo li distogliesse dalla folle rincorsa alla Jihad (o solo verso la distruzione).

Invitare la presidente della Camera a parlare di integrazione era come invitarla al giro d'onore sul suo cavallino di battaglia. L'ex portavoce dello Unhcr per il Sud Europa non poteva che lanciarsi in una serie di concetti espressi con la laconica superficialità della maestrina. E con contraddizioni che ne ledono ogni credibilità. «È im-pre-scin-di-bi-le - scandiva alzando la voce all'improvviso -... Senza integrazione c'è conflitto sociale, lo Stato deve proporre un percorso... Noi chiediamo ai migranti che imparino l'italiano, che imparino i principi della Costituzione, giusto. Ma stiamo proponendoglielo, questo percorso? Esiste questo percorso? Non può essere un atto spontaneo, non c'è bacchetta magica...». Confusione e interrogativi regnavano sovrani nella sala della Regina. Ma non è l'inverso?, si chiedeva alla fine uno dei critici dell'opposizione (il forzista Sisto), «prima si impara a essere italiani e poi si acquisisce lo status?». Magari sì, ma non lo si dica alla Boldrini.

Potrebbe inquietarsi.

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