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Bolsonaro, l'ex capitano dei paracadutisti che vuol diventare il Trump dei brasiliani

I terroristi gliel'hanno giurata. Ma il suo futuro è in mano al grande capitale

Bolsonaro, l'ex capitano dei paracadutisti che vuol diventare il Trump dei brasiliani

San Paolo Paulo Guedes, della scuola di Chicago e dunque un seguace del capitalismo a minor intervento statale, ovvero un anarco-capitalista gradito ai mercati come superministro dell'Economia; l'oriundo italiano Onyx Lorenzoni alla Casa Civil che in Brasile è il ministero più importante, una sorta di braccio destro del presidente; il generale Augusto Heleno, primo capo della missione Onu ad Haiti, alla Difesa.

Per capire chi stia cercando di diventare il capitano dei paracadutisti Jair Bolsonaro è bene partire da questi tre nomi sicuri da lui indicati per i 15 ministeri che comporranno il suo governo, ovvero ben 24 in meno dei 39 che resero insostenibile da subito il secondo mandato dell'ex presidente Dilma Rousseff. «Sarà meno peggio di quello che è stato sinora attraverso le sue dichiarazioni contro LGTB, indios, donne e neri spiega il celebre scrittore giornalista peruviano Jaime Bayly, fiero conservatore bisessuale che da Miami ogni sera conduce un celebre show su Mega TV perché ci sarà chi lo controllerà o, almeno, lo spero».

L'obiettivo, insomma, è che «Bolsomito», così lo chiamato i suoi tanti fan, sia più un Trump che un Chávez brasiliano. Certo è che nelle ultime settimane di campagna elettorale, dopo essersi ripreso dalla tremenda coltellata dello scorso 6 settembre ed avere sfiorato la vittoria già al primo turno, Bolsonaro ha centellinato le sue uscite sopra le righe limitandole ad una videotelefonata dove ha comunque promesso ai suoi elettori che «Lula marcirà in galera», che «i rossi faranno la sua stessa fine» o «se ne dovranno andare dal Paese». Naturalmente la performance del capitano dei parà è diventata virale sui social, oltre a mandare in sollucchero i fan più viscerali di «Bolsomito», ma gli ha fatto perdere il supporto di parecchi moderati negli ultimi sondaggi prima del voto di ieri. Si è trattato, comunque, di un'eccezione perché, a detta degli analisti, la sua sarà, naturalmente da destra, una strategia simile a quella «Lula paz e amor» che aveva fatto trionfare l'ex sindacalista e la sinistra nel 2002.

Pochi infatti lo ricordano oggi ma per trionfare la prima volta dopo tre trombature Lula era stato costretto a farsi scrivere da quell'Antonio Palocci ieri coordinatore della sua campagna presidenziale e oggi tra i suoi più acerrimi accusatori la «lettera al popolo brasiliano». Una missiva con cui la sinistra che sino ad allora aveva invocato «teologia della liberazione» e «rivoluzione castrista» calmava Soros e compagni chiarendo che, sì avrebbe distribuito un po' di sussidi ai poveri col programma Borsa Famiglia, ma avrebbe garantito alle banche utili grassi, come e più di prima. Per uno che era stato con Hugo Chávez e Fidel Castro tra i creatori del Foro di San Paolo con cui, dopo il crollo dell'Urss, la sinistra latinoamericana aveva cercato di riciclarsi, una svolta a favore dei poteri forti vicini a Soros che provocò non a caso lo scisma a sinistra del PT, il partito dei lavoratori di Lula, con la nascita del PSOL, gruppo dell'estrema sinistra in cui militò anche l'italiano Achille Lollo.

Ora Bolsonaro dovrà fare per forza di cose qualcosa di analogo da destra perché, checché ne dicano e pensino i brasiliani che lo hanno votato, Jair tutto è fuorché un nome nuovo, essendo entrato nel lontano 1988 nel viscoso mondo della politica verde-oro. Prima nel Parlamentino di Rio e poi, dal 1991, in quello di Brasilia, cambiando da allora ben otto partiti ed avendo tra i suoi padrini politici negli anni 90 anche parenti di Anísio Abrao David, il maggiore biscazziere clandestino carioca.

Contro Bolsonaro, secondo fonti della Polizia, è invece posizionato il PCC, la maggior fazione criminale verde-oro che per raggiungere un accordo col nuovo presidente nelle prossime settimane potrebbe addirittura ricorrere alle maniere forti e ripetere il blocco di San Paolo del maggio 2006 che causò oltre 500 morti.

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