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Bomba rimborsi sul Pd: sedici ex consiglieri a processo nel Lazio

I reati: peculato, abuso d'ufficio e corruzione. C'è anche Montino, sindaco di Fiumicino

Bomba rimborsi sul Pd: sedici ex consiglieri a processo nel Lazio

Peculato, abuso d'ufficio, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, truffa. Saltando da un capo d'imputazione all'altro, si ferma a sedici il numero degli ex consiglieri regionali Pd del Lazio invischiati nelle pieghe torbide della «rimborsopoli» della Pisana. Sono tutti dem gli esponenti rinviati a giudizio dal gup Alessandra Boffi che ha così accolto, ieri, le richieste dei pm Alberto Pioletti e Laura Condemi.

Nella rosa «monocolore» degli imputati spiccano nomi «eccellenti». C'è quello dell'ex presidente del gruppo Pd alla Regione Lazio, Esterino Montino (marito della senatrice dem Monica Cirinnà, paladina delle unioni civili), diventato nel frattempo primo cittadino di Fiumicino dopo aver sbaragliato, nel 2013, il candidato del centrodestra proprio al grido di «più trasparenza e partecipazione nel bilancio comunale». Ci sono anche i nomi degli ex consiglieri diventati onorevoli. Come i senatori Bruno Astorre, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia e Daniela Valentini. E i deputati Marco Di Stefano ed Enzo Foschi, ex capo della segreteria del sindaco Marino «inchiodato» da uno scontrino. Di mezzo c'è anche l'ex tesoriere del gruppo, Mario Perilli, che grazie ad un giro di fatture avrebbe «strappato» un'assunzione per sua figlia nella società editrice del «Nuovo Paese Sera». Dovranno rispondere tutti quanti, in base alle diverse posizioni processuali, per reati che vanno dal peculato all'abuso d'ufficio, dalla corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, fino alla truffa. I fatti contestati riguardano il periodo che va dal 2010 a 2013 e si riferiscono all'uso, da parte dei consiglieri, dei fondi pubblici destinati al gruppo anche per gli acquisti di servizi «fantasma». Servizi che, in realtà, non sarebbero mai stati effettuati dalle società coinvolte, o comunque non sono riscontrati. Alla fine si parla di un buco da 200mila euro. Ad alcuni, come Moscardelli, viene imputato l'abuso d'ufficio per le assunzioni di collaboratori che, tirando le somme, sarebbero costate alla Regione oltre un milione e mezzo di euro.

Ironia amara per il segretario Matteo Renzi che, in tempi non sospetti, si è fatto testimonial, alfiere e bandiera della trasparenza. Volendo fortemente l'approvazione di una legge che, adesso, punisce con pene più severe corrotti e corruttori. Fino a qualche mese fa, infatti, l'ex premier invocava la «sofferta» approvazione del ddl anticorruzione. Diventato poi legge, a maggio scorso, adesso la norma rischia di abbattersi come una mannaia sui «suoi». Il fascicolo dell'inchiesta sulla gestione poco «chiara» dei fondi erogati ai gruppi consiliari, aperto dalla Procura di Rieti dopo lo scandalo delle «spese pazze» di «Er Batman» Franco Fiorito, è stato «ereditato» da quella di Roma che ha ottenuto di andare a processo. L'udienza è stata fissata per il prossimo 22 gennaio davanti ai giudici dell'ottava sezione penale del tribunale. Tra le prime reazioni si registra quella di Francesco Storace, vicepresidente del consiglio regionale e presidente del Movimento nazionale: «Colpiscono i rinvii a giudizio sulla Rimborsopoli della scorsa legislatura. Tutto il gruppo Pd a processo. Auguro loro di uscirne indenni. Noi de La Destra, allora, stavamo dalla parte opposta in aula. Ma loro strillavano... quanto strillavano... ».

Certo non proprio il modo giusto per inaugurare l'imminente sfida elettorale e convincere i milioni di italiani che, a primavera, torneranno alle urne.

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