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La Boschi corregge Renzi e gela la minoranza del Pd

Il ministro: "Il Senato elettivo non si tocca, sulla fiducia valuteremo". E Padoan assicura: il default di Atene non avrà riverberi sull'Italia

La Boschi corregge Renzi e gela la minoranza del Pd

Sullo sfondo c'è la tragedia greca. Il default che rischia di mandare a carte quarantotto l'intero impianto economico-finanziario della gracile Eurozona. Il patatrac che si potrebbe riverberare sui conti dell'Italia, rendendo ancor più vacue le iniezioni d'ottimismo raccolte Oltreoceano, nonostante il ministro Padoan si ostini a dire che «non ci sarà nessun impatto sull'Italia». Sullo sfondo c'è anche la crisi produttiva di un Paese che non riesce a riemergere, e gli operai della Whirlpool-Indesit che attendono il premier per raccogliere il solito grappolo di promesse. Sullo sfondo, c'è un partito che ormai viene giudicato, da chi lo conosce, «al di là del bene e del male» (Cofferati dixit ), alle prese con una gravissima crisi morale, di sfiducia dei suoi stessi elettori, di zone opacissime nelle quali gli affari si mescolano alla politica. Sullo sfondo ci sono le riforme istituzionali da fare in fretta e senza ricatti, come ribadisce Maria Elena Boschi, profeta del premier. Infine, sullo sfondo, c'è lo scenario inquietante della pressione che dal Nordafrica in subbuglio minaccia tempeste epocali.

Ma poi c'è Matteo Renzi. Il suo immancabile stile che punta dritto all'obbiettivo, incurante del resto, anzi pronto a piegare il resto alla convenienza minuta della permanenza al potere. Il Matteo che riceve un pallone di calcio da Obama, ma nessun altro risultato dalla trasferta americana: nessuna attenuazione dell'embargo verso la Russia, nessun impegno a occuparsi della situazione libica, viceversa piegandosi all'esigenza Usa di mantenere le truppe in Afghanistan oltre il previsto. Un Renzi che si dice poi «estasiato» dalla sua prima visita a una delle bellezze d'Italia che stentano a sopravvivere (anche per colpe pubbliche), gli scavi di Pompei. E che davanti alle vestigia del passato, sfoggia stanca retorica sul futuro, sull'Expo in ritardo, sui mali del Belpaese ridotti a vieti calembour da imbonitore di provincia. «Non ne posso più di sentire che chi va via è un cervello in fuga e chi rimane un pancreas abbandonato», dice. Per l'ennesima volta convinto che ci sia qualcuno a credergli quando aggiunge che «qui a Pompei si gioca il derby di chi gode a fare l'elenco dei problemi e chi vuole risolvere quei problemi». Renzi è ancora convinto di «correre» ed essere credibile, con frasi del tipo: «Bisogna combattere l'approccio tipico di una parte del gruppo dirigente del nostro Paese che continua a pensare che di fronte ai problemi il compito della politica è rassegnarsi».

Ma il succo sta nel lungo e cordialissimo incontro con il candidato Vincenzo De Luca, una delle spine dalle quali il premier spera ora di ottenere la vittoria nelle Regionali. Punta sulla Campania, Renzi, anche per mascherare la sempre più difficile situazione nella Liguria dell'altra candidata indagata, Raffaella Paita, diventata ormai una crepa capace di sgretolare l'intero castello di carta. Questo mentre continua a trattare con la minoranza sull' Italicum e le riforme, anche se il ministro Boschi taglia corto («la non eleggibilità del Senato non si tocca. Fiducia? È prematuro parlarne») sull'ultimo fiore necessario a Matteo per la sua sterile esibizione di potere, per la sua indomita volontà di dirsi vincitore.

Costi quel che costi.

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