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Botte, aggressioni e minacce I No Tap coccolati dai 5 Stelle

Il fronte che si oppone al gasdotto gode dell'appoggio di ambienti culturali e istituzionali: ecco il report

Botte, aggressioni e minacce I No Tap coccolati dai 5 Stelle

I l solco è nella tradizione che impone a ogni opera, impresa, progetto che si affaccia in Italia di passare sotto le forche caudine dell'opposizione a tutti i costi: e che ha generato una serie di sigle diverse ma in realtà uguali, spesso incarnate dalle stesse persone: dai no Tav ai no Expo, dai no Mose ai no Muos. Il fronte no Tap, che si batte contro la realizzazione del gasdotto tra il Mediterraneo e l'Azerbaigian, è da un lato la nuova incarnazione di questo rito, dall'altro un fenomeno nuovo: perché mai si era visto il fronte antagonista, composto dagli ultras dei centri sociali, saldarsi così apertamente con ambienti culturali e persino istituzionali. Una alleanza insolita che ha aumentato a dismisura le potenzialità e i rischi di questa battaglia.

Fin da subito, strutture di sicurezza e di intelligence hanno monitorato la nascita e l'evoluzione del movimento no Tap, e l'escalation di violenze che lo ha accompagnato. Gli ultimi report risalgono a pochi mesi fa, quando dopo l'ordinanza del Prefetto di Lecce che ha disposto al costruzione della «fence», la struttura di protezione del cantiere, il movimento è passato alle maniere forti: nel mirino uomini additati con nome e cognome come responsabili e complici del Tap, bersagliati di insulti, minacce, tentativo di aggressione. il 14 novembre viene aggredito un fornitore di servizi di sicurezza, il 17 gli attivisti attaccano contestando e insultando durante un convegno il country manager di Tap Michele Elia, il 22 una sede dell'università del Salento viene coperta di scritte contro Ferdinando Boero, docente di biologia marina, colpevole di non opporsi abbastanza al Tap. Ma chi sono i protagonisti di questa campagna? Il fronte istituzionale è guidato dai sindaci di Melendugno, Marco Potì, e di Vernole, Luca De Carlo: curiosamente, il primo è i figlio di Damiano Potì, deputato socialista pugliese, che nel 1992 fu il firmatario della legge che per prima prevedeva un «acquedotto sottomarino tra Albania e Italia», l'antenato del Tap. Accanto ai due sindaci, gli alfieri della rivolta sono Gianluca Maggiore e Alfredo Fasiello. Maggiore di mestiere fa il fonico, ma la sua passione è l'opposizione a qualunque progetto: è anche uno dei leader del comitato «No Centrale Monteroni», contro un progetto di trasformazione in biometano dei rifiuti umidi; Alfredo Fasiello invece è direttamente toccato dal progetto, perché il tubo del Tap passerebbe sotto la spiaggia «San Basilio», di cui la sua famiglia ha da anni la concessione demaniale. Amministratore dello stabilimento è Andrea Fasiello, figlio di Alfredo, indagato e condannato per favoreggiamento nell'operazione Network, che ha portato alla luce il racket del pizzo sulla zona da parte dei clan mafiosi. Un altro attivista di spicco è Ippazio Luceri detto «il professore», già protagonista di uno sciopero della fame per la chiusura del Centro di identificazione e espulsione dei clandestini a Restinco.

Le performance di questa galassia godono dell'appoggio permanente del Movimento 5 Stelle, con in testa la senatrice Daniela Donno e i portavoce Antonio Trevisi e Antonella Laricchia, ma anche di intellettuali gauchistes con in testa lo scrittore Erri De Luca, già processato e assolto in Piemonte per istigazione al sabotaggio per i suoi articoli a favore dei no-Tav, o la blogger Marianna Lentini, digital strategist della fondazione Umberto Veronesi. Ma a margine della galassia è palpabile la presenza di un'ala ancora più dura, che arriva a attaccare pubblicamente il resto del movimento, accusandolo di eccessiva morbidezza. Il sito finimondo.org, di matrice anarchica, il 17 novembre scorso invita a colpire «tutte le sedi, tutti gli uffici, tutti i domicili, tutti i cantieri, tutti i depositi, tutte le strutture, tutte le ramificazioni di tutti coloro che partecipano al progetto Tap», costringendo il Viminale ad allertare prefetti e questori di tutta Italia.

«Loro vogliono dare gas questo mondo, noi perché non diamo gas alla rivolta?» concludeva l'appello.

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