Politica

Bottega Veneta veste l'insostenibile leggerezza dell'essere

Tory Burch sfila in un «mercato», per Custo Barcelona, la nuova moda è tecnologia

di

New York La ragazza col pigiama giallo cammina come una regina nel suo appartamento privato. I passi lenti e rilassati permettono di cogliere tutti i dettagli sartoriali del meraviglioso cappotto cammello buttato sulle spalle come una vestaglia. Dietro di lei c'è una casa newyorkese, con tanto di camino acceso e storici pezzi di design (tra i più belli una sedia di Giò Ponti, una scultura di John Chamberlain e il salottino di Borsani per la Tecno) mischiati a quelli delle nuove collezioni di Bottega Veneta Home. Siamo infatti alla sfilata newyorkese del mitico marchio del made in Italy controllato dal Gruppo Kering e con la direzione creativa di Tomas Maier dal giugno 2001. La ragione di questa trasferta sta nell'inaugurazione al 740 di Madison Avenue dello store più grande (1800 metri quadri su quattro piani) e più speciale del brand. Tanto per dare un'idea ci sono voluti 5 anni di lavori per riunire tre town house ottocentesche in un unico edificio senza alterare la poetica facciata ma costruendo gli interni su quello che il bene più prezioso per una casa di New York: la luce naturale. Di casa in effetti si deve parlare visto che all'ultimo piano Tomas Maier che per inciso è figlio di un architetto e dotato di un'enciclopedica cultura sulla materia, ha preparato The Apartment, una zona in cui clienti e amici della maison possono rilassarsi sul divano ammirando i quadri alle pareti: un emozionante Concetto Spaziale di Fontana, un singolare Mimmo Rotella che sembra un Burri e uno Schifano da perdere la testa. «Sono tutti italiani come il nostro bene più prezioso: la manifattura di Montebello in cui sperimentiamo e adottiamo le più incredibili tecniche artigianali» dice il designer mostrando uno dei pezzi più sensazionali della meravigliosa collezione: un abito viola che riproduce i motivi delle griglie degli ascensori newyorkesi con intrecci di tessuto, intarsi e tagli strategici che danno come per magia l'effetto tridimensionale.

Tutta la sfilata è così, una fusione a caldo tra le mille facce di New York e quel concetto identificato da Baudeleire nel distico «lusso, calma e voluttà» che deve pur esserci in una casa privata. Modelli e modelle passano così dal pigiama tagliato come una tuta all'abito da sera senza soluzione di continuità con un uso supremo di colori e materiali e con sofisticati contrappunti di stravaganza e massimo aplomb nelle proposte maschile. Tutta diversa l'atmosfera di Tory Burch che sfila nel magnifico mercato costruito negli anni Venti ai piedi del Queensboro Bridge trasformato per una mattina in un giardino fiorito di garofani rosa che, a dir la verità, non riescono a togliere la puzza di pesce. In compenso la collezione è molto carina, ispirata dallo stile inimitabile di Lee Radzwill, sorella di Jacqueline Kennedy e secondo Tory Burch che la conosce bene: «Un esempio di solarità e resilienza femminile». Tradotto in abito il concetto diventa molte fantasie floreali, balze e asimmetrie nei modelli spostati dal corpo, un certo non so che di hippy chic e una serie di montoni soffici, bianchi e caldi come lo zucchero filato. Una gran bella sorpresa da Custo Barcelona che ha ritrovato la sua miglior vena creativa nell'assemblaggio tecnologico dei materiali. Ce ne sono ben 350 nei 67 modelli che hanno sfilato ieri mattina e descriverli è quasi impossibile: un caleidoscopio di colori e luccichii veramente sensazionali. «La tecnologia è il nuovo linguaggio della moda» spiega Custo nel backstage mostrando un meraviglioso cappotto di pezzi di broccato ingabbiati nel poliuretano trasparente.

Tutto vero, ma quel paltò è degno di un dipinto del Guardi.

Commenti