Politica

Bravo, il cane tirato fuori dalle macerie E l'uomo salvò il suo miglior amico

Era ferito e impaurito: ringhiava per difendere la sua casa, ormai crollata

Oscar Grazioli

Chi li ha visti lavorare sulle macerie di un terremoto, di un incendio, di un attentato, non può che rimanere commosso dal loro coraggio, dalla loro concentrazione e dalla loro delicatezza di movimenti per evitare di far crollare laterizi in bilico su un corpo ancora vivo. Sono i cani da salvataggio e non fanno più notizia i bambini, gli anziani, i depressi, i malati, persi nei boschi, nella neve, nelle aree desertiche di tutto il mondo e salvati da un angelo custode che, sfruttando le proprie doti naturali e un addestramento impeccabile, li riporta al loro focolare, magari stendendo il corpo a loro difesa dall'inclemenza del tempo. Pochi mesi fa, dopo il devastante terremoto in Ecuador, un cane è morto per sfinimento e non avrebbe fatto notizia se non avesse salvato la vita a sette persone, tirandole fuori dalle macerie sotto cui erano rimaste sepolte. Il labrador, di nome Dayko, aveva quattro anni ed era un cane addestrato al salvataggio. La sua bara, listata a lutto, è stata accolta nella sede dei Vigili del Fuoco sudamericani

Che i cani salvino vite umane, tutti lo danno per scontato, ma qualcuno arriccia ancora il naso (o protesta pubblicamente) quando, durante una catastrofe, si pensa anche a salvare i cani o gli altri animali. Ce lo siamo chiesti nei mille cataclismi di cui siamo venuti a conoscenza. Di fronte alle bare bianche, di fronte a quelle dei genitori poste sopra, di fronte alle lacrime di chi ha perso familiari, casa, lavoro, è giusto ricordarsi degli animali che, altro dramma nella tragedia, vagano sbandati, feriti, affamati, moribondi alla ricerca del loro proprietario o presidiano le case ormai crollate nella strenua difesa di un simulacro? È giusto pensare anche a loro? Personalmente non ho alcun dubbio. Sì, è giusto ed è il minimo che posiamo fare per ripagarli, solo in parte, di quanto loro fanno per noi.

Forse l'ho raccontato altre volte ma è un aneddoto che mi piace ricordare. Era il luglio del 1971, le 3 di mattina e in casa dormivamo io, mia sorella e mia madre. Una lunga e violenta scossa sismica ci svegliò e il primo impulso per tutti, fu quello di fuggire. Stavo uscendo quando mi venne in mente Rocky, il nostro cocker. Non ho mai avuto la tempra dell'eroe, ma senza Rocky non sarei mai uscito da quella casa, anche se le scosse continuavano. Lo trovai sotto un letto, me lo caricai in spalla e raggiunsi anch'io i giardini dove dormimmo per due notti in una tenda. Ora ho due gatti e lo farei anche per loro, senza velleità d'eroismo, ma senza esitazione.

Ieri, nell'inferno di Amatrice, il personale di soccorso è entrato in una casa distrutta dal sisma per portare in salvo i proprietari. Con una zampa ferita, visibilmente zoppicante, il mantello pieno di polvere, un vecchio labrador è spuntato dalle macerie emettendo un flebile ringhio verso i soccorritori. «Bravo» (questo il suo nome), lo sguardo spaesato e senza alcun lamento, cercava di impedire ai militari di invadere quella proprietà che era anche sua e di difendere i suoi padroni, mezzi sepolti dai laterizi. Solo quando sono stati estratti dalle macerie si è lasciato mettere il guinzaglio con lo sguardo rivolto alle barelle che entravano nelle ambulanze. «Forza Bravo, non mollare», gli ha detto il carabiniere che lo ha preso in affido. Bravo lo ha guardato e poi si è rivolto nuovamente verso le ambulanze.

Sembrava dicesse: «L'importante è che non ci mollino loro».

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