Politica

Brexit, banche inglesi in fuga «Pronti a lasciare nel 2017»

La British Bankers' Association annuncia: troppe libertà a rischio, gli istituti di Londra si trasferiscono

Cinzia Meoni

Goodbye City. Le banche di piccola e media dimensione sono pronte a traslocare entro Natale, mentre per gli istituti di credito più grandi la data del trasferimento è fissata per il primo trimestre 2017. Le destinazioni più gettonate sono Dublino, Francoforte, Parigi e Vienna. È il prezzo della Brexit che, dopo la svalutazione della sterlina (ha perso il 15% sul dollaro dalla data del referendum), sta iniziando ad avere conseguenze concrete anche sul settore più esportato del Regno Unito, quello finanziario. E non si tratta più di supposizioni. Ad affermarlo è stato infatti, in un intervento per l'Observer, Anthony Browne, presidente e amministratore delegato della British Bankers' Association. «Le mani dei banchieri sono già sul tasto trasloco» ha dichiarato in merito il finanziare.

D'altro canto «il dibattito pubblico e politico sulla Brexit ci sta portando sulla direzione sbagliata», quella verso una «hard Brexit», ha sostenuto Browne. In realtà, le trattative saranno avviate a marzo e l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue non dovrebbe avvenire prima del 2019. Ma i primi passi intrapresi sono tutt'altro che incoraggianti. La Gran Bretagna, che da anni costituisce un polo di attrazione per giovani e meno giovani alla ricerca di opportunità di lavoro, vuole limitare la libertà di movimento degli stranieri residenti nel Paese. I leader europei hanno risposto che le libertà di movimento del mercato unico sono indivisibili e non negoziabili. Lo stallo rende particolarmente ardua la possibilità di trovare un accordo. Con una «hard Brexit», ovvero un'uscita completa dal mercato europeo, la Gran Bretagna perderà cosiddetti diritti di passaporto che permettono alle società di vendere prodotti e servizi, compresi quelli assicurativi e finanziari, in tutta l'Unione come se non ci fossero frontiere, senza quindi alcun tipo di imposta aggiuntiva, restrizione tariffaria rilevante o autorizzazione ulteriore. In un simile scenario, a farne le spese sarà prevalentemente il comparto finanziario visto che, da anni le banche, inglesi e internazionali utilizzano Londra come sede operativa sull'intero Vecchio Continente.

L'incertezza non fa bene al business. E, in attesa di capire se e come potranno continuare a vendere servizi e strumenti finanziari nel resto d'Europa, gli istituti di credito con sede nella City stanno già attrezzandosi per essere pronti ad ogni eventualità, pur di non perdere clientela e business. «La banche potranno anche sperare per il futuro migliore, ma devono pianificare per affrontare il peggio» ha sostenuto Browne. «La maggior parte degli istituti di credito internazionali sta già decidendo quali divisioni trasferire, entro quando e come», ha poi aggiunto il numero uno della British Bankers' Association che si dice comunque sicuro che «Londra sopravvivrà come centro finanziario internazionale».

Il finanziere ha poi avvisato anche Bruxelles: le banche con sede Londra prestano all'Europa più di 1,1 trilioni di sterline (pari a 1.

200 miliardi di euro), «tenendo finanziariamente a galla il continente», e rompere questo legame, innalzando un muro tra il Continente e il Regno Unito, sarebbe rischioso anche per l'Unione Europea e spaccherebbe in due il mercato finanziario europeo.

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