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Brexit, la Corte stanga la May: "Deve votare il Parlamento"

Respinto dai supremi giudici il ricorso del governo che pretendeva autonomia dopo il Sì nel referendum

Brexit, la Corte stanga la May: "Deve votare il Parlamento"

Londra - Su Brexit la Corte Suprema ha rigettato l'appello del governo britannico. L'esecutivo non potrà attivare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona senza prima aver ottenuto il via libera del Parlamento.

È l'ennesimo ostacolo - forse il peggiore - che si frappone sul già difficile percorso di uscita dall'Europa e che si traduce in uno schiaffo alla pretesa di autonomia avanzata da Theresa May sulla questione. Di fronte alle richieste di un coinvolgimento parlamentare infatti, il Primo Ministro aveva sempre risposto picche, invocando in ultima istanza una prerogativa reale che in passato consentiva alla Regina ed ora al governo di decidere autonomamente sui trattati internazionali. Ma di fronte al ricorso presentato da alcuni cittadini guidati dalla manager Gina Miller i giudici hanno preso la parte di questi ultimi. Con una maggioranza di otto voti contro tre hanno stabilito che il processo di uscita avrà inizio soltanto dopo un voto parlamentare.

La sentenza è stata motivata dal fatto che la procedura di Brexit modifica la legislazione inglese attuale e quindi richiede un pieno coinvolgimento delle Camere nel processo di attivazione. Nella stessa sentenza però, la Corte ha determinato all'unanimità che i Parlamenti di Scozia, Galles e Irlanda del Nord non debbano essere interpellati, lasciando solamente a quello di Londra quest'onere.

La decisione della Corte rende quindi le cose un po' più difficili al governo May che ora ha soltanto un paio di mesi per portare una proposta da votare in Parlamento entro la fine di marzo, fine ultimo previsto per l'attivazione dell'articolo 50. I tempi dunque sono stretti, ma il ministro per la Brexit Davis ha già dichiarato che non ci saranno ritardi e che il governo è determinato a portare avanti il processo di uscita esattamente com'è stato deciso nel referendum del giugno scorso. «Il voto parlamentare non deve decidere se il Regno Unito deve lasciare l'Unione Europea - ha sottolineato Davis -. Questo l'ha già fatto la gente e non ci sarà nessun dietrofront. Il punto di non ritorno è già stato passato il 23 giugno». Naturalmente il governo ha ammesso di essere rimasto deluso dalla decisione dei giudici, ma è deciso a fare «tutto il necessario» per attuarla. Per l'esecutivo però la sostanza delle cose non cambia, si andrà avanti come previsto.

Di fatto, neppure quelli che avevano presentato il ricorso contro il governo intendevano portare a casa un risultato che invertisse la tendenza dettata dal voto popolare. «La vittoria di oggi - ha dichiarato Gina Miller - non riguarda la politica, ma la procedura». Difficile pensare ad un rovesciamento della situazione anche perché, fin da ieri anche il maggior partito d'opposizione ha dichiarato di non voler ostacolare la volontà popolare. «Il Labour rispetta il risultato del referendum - ha spiegato Jeremy Corbyn - ma cercheremo di far approvare degli emendamenti alla proposta iniziale per evitare che i Conservatori trasformino la Gran Bretagna in un paradiso fiscale fuori dall'Europa». Sugli emendamenti i Tories sono divisi, ma la maggioranza ritiene che i tempi siano troppo stretti per lasciare spazio anche a delle modifiche. La verità è che se ci fossero, la hard Brexit promessa dalla May dovrebbe venir ammorbidita. Infine i Liberaldemocratici si sono spinti oltre dichiarando che non voteranno a favore dell'uscita fino a che non avranno la certezza di un voto anche sull'accordo finale raggiunto tra il governo e l'Unione.

E la fine di marzo sembra sempre più vicina.

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