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La Brexit fa bene a Johnson. Il sindaco vola nei sondaggi

Il 43% degli elettori conservatori lo vorrebbe come prossimo leader

La Brexit fa bene a Johnson. Il sindaco vola nei sondaggi

Non è detto che ce la faccia a convincere gli inglesi a lasciare l'Unione europea. Eppure Boris Johnson sembra già aver convinto gli elettori conservatori che il prossimo capo del governo dovrebbe essere proprio lui, simbolo della rivolta anti-Ue. Mentre imperversa la battaglia sul referendum del 23 giugno, il sindaco di Londra vola nei sondaggi, aiutato dalla decisione di voltare le spalle al premier David Cameron e ai burocrati di Bruxelles. È un endorsement massiccio quello della base Tory, che regala a Johnson il 43 per cento (ultimo sondaggio YouGov per il Times) e lascia invece parecchio indietro, fermo al 22 per cento, il secondo e altrettanto favorito nella corsa per la successione, il ministro delle Finanze George Osborne. I numeri mostrano come la popolarità di Johnson sia cresciuta dopo la decisione di farsi paladino del fronte anti-Ue: gli elettori che lo hanno indicato come il più gradito a guidare in futuro il partito sono cresciuti di 5 punti percentuali da quando il sindaco di Londra ha annunciato di volersi schierare a favore dell'uscita dalla Ue. È la prova di come Johnson sia più sintonizzato del premier Cameron sugli umori del partito: nello stesso sondaggio il 59 per cento degli elettori conservatori ha dichiarato di essere favorevole alla Brexit contro il 31 per cento intenzionato a restare in Europa.Eppure gli esiti del referendum restano ancora molto incerti e se Johnson perdesse la partita contro l'Europa sfuggirebbe molto probabilmente anche la possibilità di guidare il partito e sedere a Downing Street. Considerato il 18 per cento di elettori indecisi, i giochi in vista del 23 giugno sono ancora completamente aperti.

Con grande fair play, il sindaco ha detto chiaramente di non aspettarsi e di non ritenere giuste le dimissioni di Cameron in caso il premier fosse sconfessato dal voto: «Che io sappia non c'è nessun leader europeo costretto a dimettersi dopo un referendum, che si sia trattato di questioni europee o di altro». Ma il braccio di ferro fra i due è sempre più evidente. Da una parte Cameron dipinge una Gran Bretagna «più debole, meno sicura e meno ricca» in caso di vittoria del no all'Europa, dall'altra Johnson ricorda le aspirazioni da superStato, per nulla segrete, dell'Unione: «L'ambizione dell'Ue è scritta nero su bianco ed è quella di creare una unione monetaria, politica, sociale, in sintesi di prendere una serie di Paesi molto diversi e cercare di fonderli in uno, con la stessa cittadinanza e lealtà all'ideale europeo». A portare acqua al mulino anti-Ue è arrivato ieri anche l'allarme di Scotland Yard. Mentre il premier ricordava al vertice sui migranti di Bruxelles che Londra manterrà il suo «status speciale», cioè «forti confini» e non si unirà alle regole di asilo comune in Europa, il responsabile dell'anti-terrorismo avvertiva di attacchi «enormi e spettacolari» in programma sul suolo inglese da parte dell'Isis.

Poco prima, ad accusare Bruxelles di mettere a rischio la sicurezza volendo imporre «decisioni contrarie agli interessi» nazionali, era stato il ministro della Giustizia Michael Gove, anche lui in traumatica rottura con il premier: «Pretendono di dirci cosa le nostre spie debbano fare e come abbiamo il diritto di proteggerci» dal terrorismo.

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