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La bufala della linea dura: il Def prevede le invasioni

Stimati 190mila arrivi l'anno per far calare il rapporto debito/Pil. Salvini annuncia: «Dalla Libia 150 profughi»

La bufala della linea dura: il Def prevede le invasioni

Ieri hanno suscitato nuovo stupore le dichiarazioni del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, sull'arrivo di «150 uomini e donne in aereo dalla Libia» certificati come profughi di guerra e accolti con un corridoio umanitario organizzato dal Viminale. «È così che si arriva in Italia, non con barchini o barconi», ha aggiunto ribadendo che «le porte dell'Italia sono spalancate» per chi scappa davvero dalla guerra. Parole che si inseriscono nel contesto dei dati divulgati lo scorso 25 aprile.

In quell'occasione Salvini rivelò che gli immigrati irregolari nel nostro Paese sono 90mila e non 5-600mila come annunciato in campagna elettorale. Gli immigrati sbarcati sulle coste italiane, infatti, sono calati dai 119mila del 2017 ai 23.370 dell'anno scorso fino ai 2mila dei primi quattro mesi del 2019.

La strategia dei porti chiusi, inaugurata due anni fa da Minniti e proseguita con ancora maggiore intransigenza da Salvini, ha determinato ottimi risultati sul fronte del contrasto alle migrazioni clandestine. Insomma, quello commesso dal leader del Carroccio è stato un mero errore materiale. Una volta nella stanza dei bottoni, il fenomeno si è mostrato nelle dimensioni reali.

E, tuttavia, i toni concilianti del titolare dell'Interno sono di difficile interpretazione se si pensa al recente passato. Probabilmente Salvini avrà sbirciato il Def steso dal ministero dell'Economia, Giovanni Tria, e avrà corretto un po' il tiro. Il Documento di economia e finanza basa le proprie stime su tre assunti demografici il principale dei quali è rappresentato da «un flusso netto di immigrati di circa 190mila unità medie annue, con un profilo crescente fino al 2040 e decrescente successivamente». Esaminando le tendenze del rapporto debito/Pil il testo evidenzia che «a parità di saldo primario strutturale del 2022 e dato il livello iniziale di partenza (131,2%), un aumento del flusso netto migratorio del 33% a partire dal 2019 permetterebbe di diminuire sensibilmente il rapporto» rispetto allo scenario base «con una riduzione media di circa 18,5 punti di Pil nel periodo 2023-2070».

Le ipotesi macroeconomiche di fondo sono note: gli immigrati generalmente accettano paghe più basse e, dunque, contribuiscono ad aumentare la produttività (la cui crescita è inversamente proporzionale ai salari) e, di conseguenza, il Pil. Oltretutto (e anche questa è una tesi antica spesso proposta dall'ex presidente Inps Tito Boeri), gli immigrati assunti regolarmente contribuiscono al pagamento delle pensioni in essere riducendo - solo temporaneamente (cioè fino a quando gli immigrati oggi al lavoro non si ritireranno dal lavoro) - lo squilibrio della previdenza pubblica.

Salvini ha sempre criticato tali impostazioni, polemizzando aspramente con gli assertori di queste tesi. Oggi che è al governo, però, deve confrontarsi con uno scenario diverso e tendenzialmente recessivo. Se quota 100 non determinerà un tasso di sostituzione del 100% tra chi si pensionerà e chi entrerà nel mondo del lavoro e se il reddito di cittadinanza rischia di non avere effetti se per finanziarlo occorrerà aumentare le tasse, c'è sempre la possibilità di lasciar crescere i flussi migratori che, nel bene e nel male, contribuiscono all'incremento del Pil anche in virtù dell'«economia dell'assistenza» che gravita attorno alle migrazioni.

L'importante è abbassare i toni.

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