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Bugie, depistaggi, false accuse: nuova luce sul caso Litvinenko

L'inchiesta riaperta a Londra sull'omicidio al polonio dell'ex 007 russo svela i retroscena della vicenda: l'avvelenatore non fu l'italiano Scaramella

Bugie, depistaggi, false accuse: nuova luce sul caso Litvinenko

Quando uscii dagli uffici di Scotland Yard dopo due giorni di serrati interrogatori, l'ufficiale che mi aveva posto le domande per conto della procura della Corona sul caso Litvinenko mi disse: «L'inchiesta è ancora riservata. Preferiremmo che non ne parlasse finché non diventerà pubblica». Poi la notizia diventò pubblica e scrissi un breve articolo su queste pagine. Ora che se ne parla apertamente vengono scritte o riscritte le più sciatte banalità su questo caso che commosse il mondo nel novembre del 2006 quando i telegiornali di ogni Paese mostrarono le strazianti immagini di un giovane uomo sul letto di morte in un ospedale di Londra.

Quando Litvinenko morì, poche ore dopo essere diventato il cittadino britannico Mr. Carter, nessuno aveva potuto dire con certezza che l'ex ufficiale dell'Fsb russo (il servizio successore del Kgb sovietico) era stato assassinato. Per i medici era morto di una strana forma di gastroenterite. Ma a Scotland Yard non si arresero: fecero prelevare un campione di urine dal cadavere e le spedirono ai laboratori militari che disponevano di attrezzature capaci di identificare ogni genere di materiali nucleari. E così fu scoperto nel corpo di Alexander «Sasha» Litvinenko l'isotopo radioattivo del Polonio, usato negli anni Cinquanta come detonatore delle bombe atomiche. Poi i Paesi occidentali lo avevano abbandonato. Soltanto in Unione Sovietica seguitò ad essere prodotto in quantità industriali.

Dunque, il governo laburista di Tony Blair si trovò di fronte a un caso unico nella storia: un cittadino britannico con passaporto britannico era stato ucciso sul suolo britannico da un'arma nucleare introdotta nel Regno Unito da una potenza straniera. Ne seguì una crisi politica e diplomatica gravissima (ignorata nel resto del mondo, Italia compresa) fra UK e Russia di Putin il quale arrivò a far decollare uno squadrone di rugginosi aerei Tupolev armati da altrettanto rugginose bombe atomiche. Tony Blair rispose con i caccia intercettori e per un lungo periodo britannici e russi si guardarono in cagnesco come ai tempi della Guerra Fredda. La procura della Corona, intanto, aveva identificato l'esecutore materiale dell'omicidio, il signor Lugovoy, che aveva frequentato assiduamente Litvinenko per un anno e che nel giorno dell'avvelenamento, il primo novembre 2006, era nell'hotel Millennium con una combriccola di turisti russi venuti a Londra per una partita di calcio.

Secondo una notizia falsa ancor oggi ripetuta sui giornali italiani, Litvinenko fu avvelenato la sera del primo novembre nel bar dell'hotel Millennium. Non andò così: Litvinenko fu avvelenato in una delle stanze del quarto piano dello stesso albergo di mattina, prima di mezzogiorno con un tè corretto al polonio. Secondo gli esperti di intelligence Oleg Gordievski e Boris Volodarski con cui trascorsi un paio di giorni ad analizzare il caso in una cittadina del sud dell'Inghilterra, Sasha era radioattivo come una bomba atomica quando andò all'appuntamento con l'italiano Mario Scaramella in un sushi bar di Piccadilly. Quell'appuntamento fu usato a lungo come copertura dei veri assassini, facendo credere che l'italiano fosse l'avvelenatore.

Sasha Litvinenko era dunque già un uomo morto quando in tarda serata passò all'hotel Millennium per salutare i russi alla vigilia del rientro in patria. In quell'occasione rifiutò il tè che gli venne offerto in preda ai primi attacchi di nausea. Pallido e stordito, fu accompagnato da un amico a casa dove lo accolse festosamente la moglie Marina che aveva preparato uno speciale piatto di pollo per festeggiare il sesto anniversario del loro arrivo a Londra, sotto la protezione del magnate russo Boris Berezovski. Sasha non mangiò il «pollo al fiasco» e cominciò a vomitare. Non la smise più trascinandosi per giorni da un ospedale all'altro. Gli strumenti diagnostici ospedalieri non erano in grado di identificare il polonio che emette onde magnetiche diverse da quelle di qualsiasi materiale nucleare noto. Prima ancora di morire, Litvinenko subì un processo di diffamazione continua che coinvolse, e purtroppo travolse, anche la commissione italiana sul dossier Mitrokhin (che aveva chiuso i suoi lavori da sei mesi) e fu una fantastica – anche se per me esiziale – operazione in stile Kgb: manipolazione e fabbricazione (« fabrication »: sostituzione della realtà con fondali finti).

Litvinenko fu eliminato, ma di lui già si insinuò (e oggi viene ripetuto sulle gazzette) che l'esule russo era in realtà un losco agente in combutta con il servizio segreto britannico MI6. Litvinenko si era in realtà messo a disposizione della polizia inglese per smantellare una rete di trafficanti spagnoli, sulla base delle sue conoscenze come ex ufficiale di polizia criminale russo. Ma non era mai stato, neppure in patria, una spia o un agente segreto. Quando lavorava per me come informatore personale, riferiva notizie che provenivano da un suo ex superiore di cui non volle fare il nome finché quello non fu assassinato sotto casa sua a Mosca insieme alla moglie. Allora rivelò che l'ucciso, il generale Anatoli Trofimov, era sua principale fonte di informazione, abbattuto a colpi di mitra. Tre settimane prima che Sasha fosse avvelenato – il 7 ottobre del 2006 – era stata brutalmente uccisa a colpi di pistola davanti alla porta del suo ascensore, Anna Politkovskaia, la celebre giornalista indipendente sua amica. Per la prima volta Sasha disse di essere sconvolto da tanta sfrontatezza e ammise di sentirsi in pericolo.

L'inchiesta sulla sua morte fu ufficialmente sospesa per motivi diplomatici. Ma il fascicolo non venne mai chiuso in cassaforte. Il procuratore della Corona, Sir Robert Owen, seguitò silenziosamente ad indagare. E così io fui chiamato a testimoniare nello scorso mese di ottobre a Londra ospite di Sua Maestà. Due ufficiali di Scotland Yard vennero a prendermi in aeroporto e mi portarono nel palazzo della più famosa polizia del mondo. Consegnai loro una copia del mio libro sul caso Litvinenko e la video-intervista che Alexander concesse alla Commissione Mitrokhin pochi mesi prima di essere liquidato. In quella intervista Sasha riferì che il generale Trofimov gli aveva detto che molti uomini politici tedeschi e italiani erano considerati «nella disponibilità» russa e fra questi – disse – il più noto era Romano Prodi, chiamato affettuosamente «il nostro uomo». Trofimov lo aveva sconsigliato di rifugiarsi in Italia o in Germania e aveva raccomandato l'Inghilterra.

La fine, sia di Litvinenko che di Trofimov, è nota.

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