Politica

Il buonismo produce soltanto razzismo

di Renato Brunetta

L' abbiamo già scritto su queste colonne: il buonismo produce razzismo. E ora come non mai il ragionamento su costi e benefici dell'immigrazione in Italia è tornato attuale. Tanto più che si terrà domani a Milano il corteo a sostegno dell'accoglienza dei migranti, Insieme senza muri, a cui parteciperanno il sindaco Sala e l'ex ministro Emma Bonino.

I flussi migratori cui è sottoposto il nostro Paese sono di natura profondamente diversa da quelli che, nel dopoguerra e per circa un ventennio, hanno interessato il Nord Europa. I flussi migratori di allora erano prevalentemente da domanda, quelli attuali sono prevalentemente da offerta. Nel caso di migrazione da domanda prevalgono i lavoratori dipendenti, pressoché immediatamente inseriti nelle garanzie di welfare proprie dei Paesi di destinazione. Hanno alta propensione alla stabilità e trovano nei Paesi ospitanti esplicite strategie assimilative: lingua, scuola, casa, modelli culturali. Questi flussi di immigrati entrano fin da subito nel ciclo sociale delle economie di destinazione attraverso il lavoro. I costi-benefici della loro presenza sono perfettamente visibili alle società in cui essi sono inseriti. E i migranti accettati. Al contrario, nel caso di migrazioni da offerta la ragione del movimento risiede nelle condizioni socioeconomiche dei Paesi di origine. Non esiste, quindi, nessun attrattore capace di selezionare i flussi, per cui le tipologie dei migranti sono le più varie e i settori di arrivo non saranno quelli centrali manifatturieri, ma quelli marginali-interstiziali-maturi. Ci sarà, pertanto, alta propensione alla clandestinità e al lavoro sommerso. Ne deriva una precarietà generalizzata, nessuna propensione alla stabilità e, soprattutto, nessuna strategia assimilativa da parte della società di destinazione. Da qui conflitto, razzismo e mancanza di risorse per casa, scuola, lingua, welfare. Quindi il collasso dei conti pubblici.

In Italia ci sono 3,9 milioni di cittadini non comunitari regolari. Di questi lavorano meno della metà, 1,8 milioni, mentre gli altri sono inattivi (900mila), in cerca di lavoro (300mila) o non in età da lavoro (900mila tra bambini e anziani). Questo vuol dire che a fronte di 1,8 milioni di cittadini non comunitari regolari, ci sono 2,1 milioni di individui che rappresentano, di fatto, solo un costo. A questi bisogna aggiungere una cifra stimata in circa mezzo milione di cittadini (in realtà molti di più) non comunitari irregolari, che non hanno un permesso soggiorno, dunque non possono lavorare. O meglio, lavorano nel mercato nero. In realtà, anche molti di quei 2,1 milioni descritti sopra lavorano in nero, senza quindi contribuire alle casse dello Stato. Vista così, l'immigrazione rappresenta un grande vantaggio più per il sommerso che per le società in cui sono inseriti. Dire che 1,8 milioni di immigrati regolari sono un beneficio per i conti pubblici italiani, come fa la Bonino, in quanto versano alla previdenza pubblica oltre 10 miliardi, è un grande errore di prospettiva, perché non si fa il conto complessivo dei costi per familiari a carico, di quelli che non lavorano, all'istruzione e alla sanità.

Se a tutto questo si aggiungono i costi per l'accoglienza legati alla tragedia dei recenti flussi migratori, stimato dal governo in 4,6 miliardi, il bilancio diventa ampiamente negativo. Il calcolo della Bonino è parziale e buonista in quanto considera solo i benefici derivanti dagli immigrati «regolari-regolari» (1,8 milioni) mentre non considera i costi degli immigrati «regolari-irregolari» (2,1 milioni), né quelli degli immigrati «irregolari-irregolari» (oltre 500mila), senza permesso di soggiorno e senza lavoro. Ne deriva che, proprio perché da offerta e non da domanda, l'immigrazione ha sempre rappresentato per l'Italia più un costo che un beneficio. Da qui la reazione, il disagio, la paura.

C'è poco da sfilare.

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