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C'è l'Egitto dietro la «resa» di Hamas a Gaza

Al-Sisi ha messo in guardia contro i rischi dell'escalation. Erdogan attacca Israele: "Banditi"

C'è l'Egitto dietro la «resa» di Hamas a Gaza

Tra Israele e Hamas non c'è di mezzo solo il leader turco Recep Tayyip Erdogan, che con le elezioni tra un mese soffia sempre più forte sul fuoco dell'odio anti-israeliano: c'è anche, e forse soprattutto, Abdelfattah al-Sisi, presidente di quell'Egitto che cerca di porsi come interlocutore fra Israele e palestinesi, forte delle buone relazioni che intrattiene con entrambi, oltre che della geografia.

Così, se da una parte l'aspirante Sultano di Ankara non fa che alzare i toni contro lo Stato ebraico, dall'altra il generalissimo del Cairo si impegna per spingere Hamas, che governa Gaza, su posizioni più ragionevoli. E non è improbabile che ci sia stato proprio al-Sisi dietro la scelta apparentemente inspiegabile di trattenere le masse palestinesi della Striscia dallo scatenarsi nella annunciata giornata campale contro Israele di martedì scorso.

Le Monde scrive che Ahmed Youssef, una delle poche figure pragmatiche di Hamas, ha riconosciuto che l'Egitto ha messo esplicitamente in guardia il suo movimento: evitate qualsiasi escalation - questo il messaggio - o rischierete che Israele vi colpisca con durezza e metta nel suo mirino i vostri dirigenti. Ora Hamas - preoccupata del grave contraccolpo che ha inferto al morale della popolazione di Gaza l'uccisione di 60 dimostranti e il ferimento di quasi tremila - considererebbe una svolta strategica più pacifica. In cambio, al-Sisi avrebbe assicurato al capo di Hamas Ismail Haniyeh, che si è recato al Cairo venerdì scorso, il suo impegno per «migliorare la situazione a Gaza»: in particolare verrebbe offerta la riapertura del valico di confine egiziano-palestinese di Rafah.

Sull'altro fronte, come si diceva, c'è invece un Erdogan tonitruante, deciso a impersonare davanti all'opinione pubblica musulmana nel mondo la reazione alla «iniquità degli israeliani». Erdogan ha sostenuto ieri che «il silenzio» sulle uccisioni di palestinesi a Gaza è la prova che «le Nazioni Unite sono collassate», e ha rincarato la dose affermando che «se questo silenzio continuerà, il mondo sarà rapidamente trascinato in un caos dove prevarrà il banditismo». A Erdogan non è mancato il sostegno del presidente «moderato» dell'Iran, Hassan Rouhani, che insiste sulla necessità di formare «un fronte islamico forte e unito contro Israele».

Le frontiere dello Stato ebraico restano comunque all'erta, e non solo a Gaza: ieri è suonato un allarme antimissile che ha costretto i residenti delle Alture del Golan, ai confini con la Siria, a raggiungere i rifugi antiaerei. Era stata udita una forte esplosione che ha fatto temere un attacco. Si è poi saputo che un drone era penetrato nei cieli israeliani dal territorio siriano, e che era stato abbattuto da un missile del sistema difensivo Iron Dome.

L'allarme è così rientrato.

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