Cronache

Cade già l'accusa di omicidio per la gang di piazza San Carlo

Il gip accoglie le tesi della difesa e modifica il capo di imputazione. E ora i maghrebini si sentono in colpa

Cade già l'accusa di omicidio per la gang di piazza San Carlo

Adesso piange, «Budino», e si dispera: ma fin quando era libero, anche dopo che le imprese della sua banda avevano trasformato in tragedia una festa di sport e di popolo, lui e gli altri ridevano, si vantavano dell'impresa. In piazza San Carlo, la sera del 3 giugno 2017, erano lui e i suoi amici ad aggredire la gente con lo spray al peperoncino per rapinare. Furono le loro imprese a scatenare il panico in cui millecinquecento persone rimasero ferite e perse a vita Erika Pioletti.

Catturati tre giorni fa, «Budino», ovvero Sohaib Bouimadaghen, e il suo compare Mohammed Machmachi, cominciano adesso a fare i conti con le conseguenze delle loro azioni. Ma quali saranno queste conseguenze? A quali pene vanno incontro? Dopo averli interrogati e raccolte le loro confessioni, il giudice preliminare ha modificato il capo d'accusa. La Procura, chiamata al compito non semplice di inquadrare giuridicamente i fatti di piazza San Carlo, li aveva arrestati per omicidio preterintenzionale, pena fino a diciott'anni di carcere. Per il giudice invece devono rispondere di «morte come conseguenza di un altro delitto»: in totale, considerate le aggravanti (oltre alla morte della Pioletti, c'è la enorme quantità di feriti) la pena massima resta quasi la stessa. Senza contare che «Budino» e il suo amico devono rispondere anche di una sfilza di rapine compiute in Italia e all'estero insieme a otto complici. E che sull'intera banda potrebbe a breve abbattersi anche la denuncia per associazione a delinquere.

Che si trattasse di una banda stabile ed agguerrita, d'altronde lo raccontano bene gli atti dell'inchiesta. I colpi a ripetizione, tutti con la stessa tecnica, avevano da tempo richiamato l'attenzione della Squadra Mobile di Torino, e proprio le indagini sulle rapine hanno portato a intercettare il telefono di Bouimadaghen, con gli espliciti riferimenti all'episodio di piazza San Carlo. È stata quella telefonata a convincere la procura di Torino ad accelerare i tempi, fermando il giovane per omicidio e interrogandolo a caldo. Nelle stesse ore veniva fermato anche Machmachi. A differenza di Bouimadaghen, che è nato a Ciriè ed è cittadino italiano, Machamachi ha passaporto marocchino, era ospite di un centro di accoglienza, il rischio di fuga era alto. Così hanno catturato anche lui d'urgenza. L'ordinanza di custodia in carcere spiccata ora dal giudice, anche se modificando il reato, dimostra che il quadro nei confronti di entrambi i fermati è solido. Stesso discorso per Hamza Belghazi e Aymene Es Sahibi, entrambi marocchini con permesso di soggiorno, anche loro presenti alla razzia di piazza San Carlo, e anche loro incriminati ora per la morte di Erika Pioletti.

Si parla di un quinto membro della banda che forse era presente in piazza, e si parla soprattutto di altri dieci o quindici nomi che potrebbero aggiungersi ai dieci già incriminati per una ventina di rapine. E più si allarga il numero di partecipanti - tutti tra i diciotto e i vent'anni, tutti di origine maghrebina ma spesso nati in Italia e con passaporto tricolore - l'impressione è che la tragedia di piazza San Carlo abbia portato alla ribalta un mondo a parte, un universo dove immigrati di prima o seconda generazione vengono inghiottiti quasi con leggerezza da una spirale di crimini e di violenza: dove la percezione della gravità dei delitti sembra lontana anni luce, tanto remoto appare il rischio di poter essere presi.

Fin quando non ci scappa il morto.

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