Politica

Calenda sogna da premier: non mi candido alle elezioni

Il ministro esclude di presentarsi al voto. Preferisce stare pronto per Palazzo Chigi in caso di larghe intese

Calenda sogna da premier: non mi candido alle elezioni

«Non mi presento sicuro al 100 per cento». Certo: perché mai Carlo Calenda dovrebbe correre rischio di cavalcare quella che si presenta come una feroce campagna elettorale magari con il rischio di restare fuori? Meglio sedere in panchina per poi accomodarsi sulla poltrona giusta: agli Esteri o meglio ancora a Palazzo Chigi. Una cosa è certa questa volta il ministro dello Sviluppo economico non vuole correre rischi. Non intende infilarsi in estenuanti trattative sulle liste elettorali. Calenda ha già una brillante carriera alle spalle e non può permettersi di bruciare la sua irresistibile ascesa al potere con uno scivolone come quello nel quale è incorso nel 2013, candidandosi con Mario Monti con la lista Italia Futura, quando fu uno dei primi tra i non eletti. Questa volta si gioca a carte coperte. E così, intervistato ieri da Lucia Annunziata su Raitre, ha messo le mani avanti garantendo che non scenderà nell'agone elettorale. Calenda ha spiegato che se al suo ruolo di ministro sovrapponesse quello di candidato non sarebbe più libero di agire perché qualsiasi sua iniziativa verrebbe interpretata «come tentativo di prendere voti».

Non candidarsi però non significa che il ministro non abbia le idee chiare sul cammino da percorrere dell'attuale governo e pure di quello che verrà.

Ineccepibile la scelta di mettere la fiducia sulla legge elettorale ha spiegato Calenda perché «mettere la fiducia è un atto chiaramente pesante ma non c'era altra alternativa». E sul Rosatellum ha aggiunto: «Non so se funzionerà o no, sono ignorante sui sistemi elettorali ma serviva un sistema elettorale più plausibile», perché dalla legge elettorale dipende la possibilità di «avere un governo il più stabile possibile e un Parlamento di qualità».

Calenda teme che il paese si possa ritrovare in una condizione di ingovernabilità paventando «il rischio che si formino coalizioni in galleggiamento». La campagna elettorale per Calenda, potrebbe facilmente scivolare su tematiche «poco serie» e dare come frutto «un governo di larga coalizione senza un obiettivo di marcia». Quello che occorre è mettere finalmente mano alle riforme. «La grande coalizione può essere una soluzione se trova un programma molto preciso di riforme da portare avanti. - conclude Calenda -. Ma non è affatto detto che sia così».

L'intervista con la Annunziata è stata anche l'occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti della sindaca di Roma, Virginia Raggi, che il ministro incontrerà domani per studiare un piano di rilancio della capitale. «Se vengono per chiedere la lista della spesa è meglio se non vengono perché non è questo il senso. E così i soldi vanno pure buttati», attacca Calenda in riferimento al fatto che la Raggi sarebbe pronta a chiedere 1,8 miliardi di euro per tirare la città fuori dal pantano. Una voce che circola sempre più insistente è che il governo di fatto vorrebbe a commissariare il Campidoglio e il tavolo con la Raggi rappresenta l'occasione per far scattare l'operazione. Almeno secondo Alessandro Di Battista.

Ma Calenda respinge l'ipotesi e assicura che «il piano per risollevare la città» è stato richiesto dai sindacati. «Ho detto che i problemi non derivano da Raggi e nemmeno dalla politica - ha garantito Calenda -.

Non è un tavolo per colpevolizzare la Raggi».

Commenti