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Il Califfato è già a Londra: in un mese 2mila infibulate

La mutilazione genitale è vietata dal 1985, ma le sanzioni non sono mai state applicate. E così il fenomeno dilaga tra le comunità straniere

Il Califfato è già a Londra: in un mese 2mila infibulate

RomaIl Medioevo è più vicino di quanto si pensi. Quasi duemila casi di mutilazioni genitali femminili (Mgf) in un solo mese. Non siamo a Mosul, dove secondo il Movimento delle donne Curde, dopo la conquista il Califfato avrebbe imposto le mutilazioni a cinquemila donne. Siamo nella civilissima Inghilterra, e i dati - ugualmente inquietanti e numericamente comparabili - sono quelli del servizio sanitario britannico, diffusi dal Hscic, il centro di informazione sull'assistenza sociosanitaria del Regno Unito.

Gli ospedali di Sua Maestà, da settembre, sono obbligati a registrare qualsiasi paziente che, sottoposto a cure mediche, risulti vittima di queste barbare pratiche ancestrali. Nate in Africa in tempi remoti, le mutilazioni ai genitali di bambine e ragazze sono state poi «esportate» dall'Islam in alcuni paesi asiatici e in Medio Oriente. Sbarcando recentemente anche in Europa con l'impennata dei flussi migratori.

I primi dati del nuovo «censimento», diffusi giovedì scorso, hanno fatto sobbalzare sulla sedia i politici d'Oltremanica. Le vittime registrate tra primo e trenta settembre sono 1.746. Di queste, 467 sono nuovi casi, mentre 1.279 erano già state identificate in passato. Nella sola Londra gli ospedali del servizio sanitario britannico hanno individuato 252 tra donne e bambine sottoposte al «trattamento». E i dati non sono definitivi, perché solo il 78 per cento delle strutture ha inviato i dati alle autorità. Eppure il capo dello Stato è ancora la Regina Elisabetta, non Abu Bakr al-Baghdadi.

Se lo scopo era comprendere la portata del fenomeno - che secondo le stime potrebbe aver interessato già 170mila donne nel Regno Unito, con 65mila ragazzine under 13 che rischiano di subire la stessa sorte - i risultati non sono incoraggianti. Nonostante Londra punisca le Mgf con il carcere fino a 14 anni, la sanzione non sembra fermare la primordiale pratica, diffusa tra le comunità immigrate in Gran Bretagna. Anche perché dal 1985, anno di introduzione del reato, non c'è ancora stata nessuna condanna.

La notizia è destinata a sollevare una lunga scia di polemiche in un Paese che ospita tre milioni e mezzo di musulmani (Mohammed è il nome più diffuso tra i nuovi nati), che è alle prese con il gran numero di «foreign fighters» britannici che si sono uniti alla causa dell'Is (tra 600 e 2000, secondo le stime dell' intelligence ) e che da tempo sta cercando di correre ai ripari per arginare questa violenta consuetudine.

A luglio scorso, la commissione Affari interni della Camera dei Comuni ha denunciato in un dettagliato rapporto lo «scandalo nazionale» che ha portato all'«evitabile mutilazione di migliaia di ragazze» e auspicando un cambio di rotta per debellare del tutto le Mgf «entro una generazione». Obiettivo ambizioso, che necessita anche di un approccio meno «passivo». Difficilmente, infatti, le vittime di mutilazione genitale denunciano spontaneamente quanto hanno subito. Sia perché non sempre sono consapevoli che la pratica sia illegale, sia per la pressione sociale delle comunità di appartenenza.

Di solito, infatti, sono proprio le famiglie, in Gran Bretagna o tornando per le vacanze nei Paesi d'origine, a consegnare le bimbe ai bisturi di «medici» improvvisati, in barba alla legge che dovrebbe perseguirle sia in patria che all'estero.

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