Cronache

Il caos di piazza San Carlo colpa della gang di maghrebini

La banda in manette: usava lo spray urticante per rubare Odio su Facebook con i riferimenti alle stragi islamiste

Il caos di piazza San Carlo  colpa della gang di maghrebini

Nel mucchio selvaggio ci sono italiani di seconda generazione, ragazzi dal nome arabo ma nati a Torino, a Ciriè, a Reggio Emilia: ma anche loro simili arrivati da poco, accolti con permesso di soggiorno. Nel degrado delle banlieu italiane, si sono ritrovati insieme, e hanno messo in piedi una banda frenetica e feroce. Erano diventati un incubo, quelli della banda del peperoncino. Fino alla tragedia finale, l'ennesimo evento preso di mira puntando sulla grande folla, sulla ressa dove è facile colpire e svanire: il megaschermo che in piazza San Carlo, a Torino, la sera del 3 giugno trasmette la finale di Champions tra Juve e Madrid.

Furono le loro imprese, le rapine a colpi di spray urticante, a scatenare il panico che travolse la folla dei tifosi, il fuggi fuggi impazzito sul tappeto dei cocci di bottiglia. 1.527 feriti: la più grave, Erika Pioletti, morì dopo quaranta giorni di agonia. Per mesi, la Procura di Torino e la polizia hanno scavato sulle leggerezze di chi organizzò l'evento senza vie di fuga, e per quelle violazioni il procuratore Armando Spataro si prepara a portare a processo tra gli altri il sindaco Chiara Appendino e l'ex questore Angelo Sanna. Ma intanto, faticosamente, certosinamente, andava avanti l'inchiesta per capire quale scintilla avesse scatenato il panico. Si erano fatte le ipotesi più diverse, dallo scherzo di un incosciente allo scoppio di un petardo. Invece erano stati loro. Quelli del mucchio selvaggio.

La sera del 3 giugno, in piazza, ci sono due di loro: Sohaib Bouimadaghen, vent'anni, nato a Ciriè; Mohammed Machmachi, stessa età, marocchino. Sono armati di spray, come ogni volta che si infilano tra la folla. Insieme al resto della banda hanno colpito decine e decine di volte: venti gli episodi già accertati, tra Italia e mezza Europa. Già una volta, a un concerto torinese di Elisa, avevano scatenato una mezza catastrofe. Ma l'incidente non li aveva turbati, avevano continuato per la loro strada di rapine e di razzie.

Quale occasione più ghiotta dell'evento del 3 giugno, con mezza città assiepata tra le transenne? Sohaib e Mohammed si muovono da esperti. Lo spruzzo in faccia, la vittima che non capisce più niente mentre spariscono il portafogli, i gioielli, il cellulare, e loro due svaniscono nella calca. L'ultima vittima rimane terrorizzata, urla, cerca di fuggire: e scatta la psicosi. «É vero, eravamo lì, siamo stati noi», confessano ieri, uno dopo l'altro, dopo essere stati fermati. Ma non potevano fare altro, erano inchiodati dalle prove: le perizie scientifiche che hanno trovato i residui di spray sugli abiti delle vittime, le intercettazioni in cui si vantavano dell'impresa, e da ultimo le perquisizioni in cui l'altra notte saltano fuori le bombolette di spray e alcuni gioielli strappati in piazza San Carlo.

Sohaib e Mohammed vengono fermati per omicidio preterintenzionale: per la Procura c'è un filo diretto, un rapporto di causa-effetto che collega le loro rapine alla morte della Pioletti. Insieme ad altri otto maghrebini vengono colpiti da ordine di custodia per rapine aggravate, ed è il catalogo impressionante delle imprese: dall'incursione a Mediaworld, a quelle in una discoteca a Verona, alla razzia al concerto di Elisa alla Ogr di Torino, il copione era sempre quello. Colpivano per fare i soldi, ma anche per odio verso gli infedeli.

Su Facebook Bouimadaghen scrive: «Avete calpestato bambini e donne per un petardo, ve ne accorgete solo quando vi tocca la pelle».

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